Achille Starace, la migliore incarnazione del fascismo
Achille Starace, la migliore incarnazione del fascismo
Facciamo seguito alla prima parte, pubblicata il 17 scorso, per proseguire il racconto della vita di Achille Starace e, di riflesso, la storia del fascismo.
Il 24 maggio del 1915 il Piave mormorava e Starace marciava sul Carso, sul Piave e nel Trentino con una brigata di bersaglieri al comando del colonnello Sante Ceccherini.
Abbiamo elencato all’inizio le onorificenze raccolte dal futuro segretario del PNF. Coraggioso lo era senza dubbio, ma la guerra gli permise di mettere in luce anche altre sue peculiari caratteristiche; ci riferiamo soprattutto alla fedeltà al Capo e alla grande capacità organizzativa, unita alla scrupolosissima esecuzione degli ordini superiori.
Starace fu uno dei tanti che visse in un periodo storico straordinario e la sua strada di uomo qualsiasi si incrociò a un certo punto con quella di un uomo speciale, Mussolini.
Ne nacque un connubio che creò la sua vita, e che condizionò la vita di tutti gli italiani.
Starace certamente non fu un cretino, come veniva dipinto, e non fu neanche un innocente esecutore di ordini, perché questa scusante non è valida per nessuno.
Fu senza dubbio la miglior incarnazione del fascismo: Segretario generale del Partito Nazionale Fascista dal 10 dicembre 1931 al 31 ottobre 1939, condizionò la vita di un popolo, ma probabilmente trovò anche un popolo disponibile ad essere condizionato; ma poi avrebbe pagato un salatissimo conto per i suoi errori.
Nel 1923 il Duce lo incaricò di istituire la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), un esercito di parte che serviva a disciplinare le squadre, riottose a smobilitare, e a difendere la rivoluzione fascista.
Starace, che nel frattempo aveva assunto anche compiti di Prefetto volante di Mussolini (il quale cercava con uomini di sua fiducia di mantenere l’ordine tra gli stessi quadri del partito), lasciò la vice segreteria del PNF per assumere il comando della milizia a Trieste.
Tornò così ad un organismo militare, trovando la quadratura del cerchio, perché poteva finalmente unire una disciplina militare ufficiale allo spirito fascista.
Alle elezioni del 1924 Starace divenne anche deputato per la Puglia.
Poi vennero le proteste di Matteotti per le violenze e le intimidazioni a cui erano stati sottoposti gli elettori in varie parti d’Italia, avvenne l’omicidio del coraggioso deputato socialista Giacomo Matteotti, e Mussolini colse la palla al balzo, ancora una volta favorito dalla pochezza dei suoi avversari, per rigirare la realtà ed approfittare del crimine per eliminare definitivamente gli ultimi residui di libertà: il fascismo diveniva dittatura, lo Stato era finalmente fascista fino in fondo.
Nel 1926 Starace ebbe un anno brillante: ritornò alla vice segreteria del partito e divenne luogotenente generale della Milizia, grado equivalente a quello di Generale di divisione dell’esercito, entrando anche a far parte del Gran Consiglio del Fascismo: se al realizzarsi dell’unità nazionale ci fu il problema, fatta l’Italia, di fare gli italiani, ora per Mussolini c’era il problema di fare l’italiano fascista.
Il compito del Partito doveva proprio essere quello di insinuarsi in ogni angolo della vita, di creare quel fascista scattante, disciplinato, soldato, con lo sguardo fiero e dritto, pronto ad eseguire qualsiasi ordine per il bene della Patria e della rivoluzione fascista, affiancato da una moglie silente e buona riproduttrice, che partorisse tanti fascistini, i Figli della Lupa.
Il Partito era insomma l’organo di governo indiretto di Mussolini, capo del governo ufficiale. I segretari del Partito che si insediarono dal 1925 al 1931 non soddisfecero mai in pieno Mussolini: Farinacci (segretario dal 12 febbraio 1925 al 30 marzo 1926) tentò addirittura di scavalcare il Duce. Turati (30 marzo 1926 – 7 ottobre 1930) e Giuriati (7 ottobre 1930 – 10 dicembre 1931) erano due galantuomini, il primo definito spesso dal Duce come “un austero fesso”, il secondo temuto per l’eccessivo spirito d’iniziativa.
Intanto Starace continuava a ricoprire la carica di vice segretario, e si mise particolarmente in luce nel 1929, operando, su diretto incarico di Mussolini, un gran repulisti al Fascio di Milano, retto dal potente federale Mario Giampaoli, troppo chiacchierato per la sua vita dispendiosa e libertina. Il fascismo voleva darsi una veste di perbenismo e Starace si guadagnò definitivamente il soprannome di mastino, eseguendo alla lettera gli ordini del Duce: il fascio di Milano fu ripulito e Giampaoli silurato insieme ad altri gerarchi locali e ufficiali della milizia.
L’arrivo di Starace alla segreteria generale del PNF fu il naturale esito di anni di scrupolosa obbedienza, di imitazione del Capo, di dedizione totale e incondizionata; ora si poteva davvero iniziare la creazione del “fascista” e Starace si gettò in questo compito con impeto bersaglieresco.
Erano gli anni in cui il consenso al regime andava consolidandosi, vuoi per l’attitudine nazionale ad affezionarsi a chi vince, vuoi perché il fascismo comunque bilanciava la perdita delle libertà democratiche con l’acquisto di sicurezze più tangibili in materia previdenziale, di tutela del posto di lavoro, di assistenza alle famiglie.
Il Foglio d’ordini del Partito divenne, con la segreteria Starace, il regolatore della vita nazionale. Il segretario nazionale era cavallerizzo, sciatore, ginnasta, tiratore, podista, nuotatore e tutti i gerarchi dovevano adeguarsi, perché il fascismo era energia, impeto, giovanile fierezza del proprio vigore fisico, del quale anche il Duce faceva continua esibizione.
Il partito era milizia, e quindi doveva avere una propria divisa. L’Italia si riempiva di uniformi: oltre a quelle delle tradizionali Forze Armate, oltre a quelle della MVSN, ora anche i fascisti avevano la loro uniforme, oggetto di continui aggiornamenti da parte dell’infaticabile segretario generale Starace.
Il Duce aveva detto che la pace perpetua non esiste, che un popolo si forgia solo con la guerra, e Starace provvedeva ad emanare le disposizioni perché il sabato fascista fosse dedicato, sotto la guida di ufficiali della MVSN, alla preparazione premilitare dei futuri combattenti.
L’Opera Nazionale Dopolavoro, l’Opera Nazionale Balilla, i Fasci Femminili, i GUF Gruppi Universitari Fascisti, l’Istituto Superiore di Educazione Fisica, tutto convergeva nel Partito, perché l’italiano non avesse più uno spicchio della propria vita e della propria giornata, lavorativa o di riposo, che non fosse fascista.
Starace inventò anche il Saluto al Duce, con il quale si doveva aprire ogni adunata fascista, da quelle oceaniche di piazza Venezia, dove è il Capo stesso a comparire al balcone, fino all’ultima riunione rionale, prescrivendone con ragionieresca pignoleria la procedura; in qualsiasi occasione la parola Duce deve sempre essere scritta come Dio con la D maiscola, anzi meglio con tutte maiuscole: DUCE.
Inoltre Starace imperversava con alluvioni di buffonate; tanti giochi ginnici dove era lui a impegnarsi e a dare l’esempio, saltando i cerchi di fuoco, la barriera di baionette, a svolgere il religioso rito dell’alza bandiera, seguendo ineccepibilmente il decalogo del “saluto romano” fascista: alzata del braccio a 170 gradi, mano distesa, aperta, dita unite.
Fu anche uno dei più infaticabili creatori di uniformi sempre più complesse e, fanatico dello sport, impose all’Italia, gerarchi in testa, un salutismo a dir poco ridicolo; “darsi all’ippica” era salutare!
E’ lui a far cambiare le abitudini della vita quotidiana, a mettere gli stivali e l’uniforme agli italiani, le divise ai bambini, agli adolescenti e su fino ai giovani avanguardisti, lui a cambiare i vocaboli stranieri: e, cosa più grave, nella campagna della difesa della razza, in una nota inviata agli organi di stampa scrisse: “non interessarsi mai di Einstein, è un ebreo”.
Mussolini intanto preparava qualcosa di grosso: la guerra coloniale in Abissinia, la conquista dell’Impero.
Il Partito doveva collaborare, non solo preparando il popolo al grande evento, ma partecipandovi direttamente, perché la guerra doveva essere soprattutto una guerra fascista.
Di certo il Duce non mancava di furbizia, sapendo che questa era l’occasione per coprirsi facilmente di gloria militare, vista l’inconsistenza del nemico. Le inique sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni furono l’occasione per manifestazioni di entusiasmo popolare, con la Regina stessa che, per prima, donò il suo anello nuziale alla Patria, bisognosa di oro per sostenere i combattenti.
Si prospettava gloria a buon mercato per tutti, e tutti volevano andare in Africa, fascisti ignoti e personaggi celebri: partirono deputati, senatori, accademici d’Italia e altezze reali, ma non partì Starace, che scalpitava a Roma.
Ormai la partecipazione popolare era formata, tutta la nazione seguiva con entusiasmo il progredire delle bandierine tricolori sulle carte geografiche, e sembrava che l’atteggiamento del Duce, che tardava a dare al segretario generale la soddisfazione del combattimento, preludesse al suo siluramento: era già da quattro anni alla guida del partito, forse era ora di trovargli un altro ruolo.
(2 – continua)