scritto da Nino Maiorino - 28 Maggio 2022 11:14

Achille Starace e la fine del fascismo

Questo è il capitolo conclusivo della storia del fascismo raccontata tramite la vita di Achille Starace, il Gerarca fedelissimo a Mussolini: i precedenti sono stati pubblicati in data 17, 22 e 25 maggio.

Era giunto il momento che Achille Starace, che solo due anni prima era stato elevato al rango di Ministro, che per otto anni era stato il più fedele mastino del Duce, andava eliminato, nella speranza che le indubbie colpe di uno servissero a coprire anche le colpe di tanti altri, Duce in testa, senza il cui placet comunque Starace non avrebbe mai mosso un dito.

I rapporti di polizia iniziarono ad essere messi in circolazione, e Starace fu messo alla berlina come uno scatenato donnaiolo, come un arricchito a spese del regime (ma la miseria successiva in cui si trovò l’ex segretario dimostrarono l’infondatezza di queste voci), e, in generale, come colpevole di tutta la situazione in cui si trovavano la Nazione e il Partito.

Il Paese era stanco ed impreparato a una guerra che lo minacciava comunque, il Partito era diventato un elefante burocratico.

E il 31 ottobre del ’39 Mussolini si limitò a comunicare a Starace: “Darete oggi stesso le consegne di segretario generale ad Ettore Muti. Voi passate alla Milizia”.

Venne così nominato Capo di Stato Maggiore della Milizia; una retrocessione clamorosa da una posizione di enorme potere a un ruolo poco più che nominale.

Il 10 giugno del 40 l’Italia iniziò la sua tragica avventura e per Starace iniziò una specie di penoso balletto tra comandi militari, ai quali si presentava in divisa di colonnello dei bersaglieri, i quali se lo palleggiarono tra Grecia e Albania, senza mai assegnarli un incarico di comando, finché non si decise a rivestire la divisa della Milizia e ad andare a combattere in Albania: qui fu anche ferito e tornò in patria a metà aprile del ‘41.

Sbarcando a Brindisi si diede ad un amaro sfogo sulle condizioni disastrose delle truppe italiane; passò alcuni giorni in famiglia, poi tornò a Roma, al suo ufficio di Capo di Stato Maggiore della Milizia.

E qui, il 16 maggio del 1941, trovò sulla scrivania l’ultima comunicazione scritta del Duce: “Ritengo concluso il vostro ciclo nella funzione di Capo di Stato Maggiore della MVSN. L’opera da voi svolta non mi ha in questi ultimi tempi soddisfatto. Ci sarà ancora qualcosa da fare per voi al momento della nostra ripresa in Africa Orientale”, ripresa che non ci sarà più.

Da questo momento la storia di Starace diventa una penosa strada fatta di miseria (non aveva più emolumenti di alcun genere, se non le irrilevanti indennità medaglie) e soprattutto di abbandono.

Tempestava di lettere il Duce, ma Mussolini non era uomo da smuoversi per gli affetti; Starace ormai era fuori gioco, ed era meglio che ci restasse, perché le cose andavano sempre peggio, e restava quindi un ottimo capro espiatorio.

Tuttavia le lettere di Starace al Duce furono sempre ispirate alla massima devozione, pur cadendo via via di tono, fino a ridursi alla semplice richiesta di autorizzazione a lavorare, a fare un lavoro qualsiasi per campare: Mussolini si limitò ad annotare a margine “può lavorare”, e a fargli comunicare la risposta.

Ma nessuno voleva dare un’occupazione a quello che era divenuto ormai l’uomo più impopolare d’Italia. Arrivò il 25 luglio del 43, poi l’8 settembre di quel tragico anno e Starace, come tanti altri italiani, si trovò a risalire suo malgrado la penisola, stabilendo la sua residenza a Milano, in un appartamentino in piazzale Libia.

A Milano lo raggiunsero anche la moglie e il figlio Luigi, ma resteranno sempre separati da quel padre e marito che fu sempre da loro separato.

Solo con la figlia Fanny mantenne rapporti epistolari, spesso ricevendo anche aiuti concreti in generi alimentari per campare.

Quando nacque la Repubblica Sociale era malvisto anche dai neo fascisti repubblichini, che lo accusavano di aver rovinato lo spirito del primo fascismo, quello puro e duro a cui loro pretendevano di rifarsi.

Mussolini, incupito e stanco, era ritornato al potere, e Starace riprese a scrivergli, protestando ancora la sua immutabile fede fascista e offrendosi per qualsiasi mansione.

Il Duce, per tutta risposta, con grande cattiveria e irriconoscenza, lo fece internare nel campo di concentramento di Lumezzane, dal 30 giugno al 9 settembre del 44, ricordandosi all’improvviso che l’ex segretario generale aveva scritto delle congratulazioni a Badoglio dopo il 25 luglio, cosa era stata fatta anche dallo stesso Mussolini.

Ma Starace non deflesse dalla sua grafomania neanche dal campo di concentramento e infatti la liberazione, il 9 settembre del 44, avverrà proprio su ordine diretto del Duce, che incaricò Buffarini Guidi, ministro dell’Interno repubblichino, di liberare il prigioniero, ingiungendogli però di non farglielo mai incontrare: “Ne ho abbastanza di lui e delle sue lettere, perciò ora non leggerò nemmeno più quelle”.

Ma a Starace ormai restava meno di un anno di vita.

E’ difficile, se non impossibile, stabilire se un uomo ha subito la giusta pena in rapporto alle sue colpe, soprattutto quando si tratta di una pena grave come la morte.

Nei giorni successivi al 25 aprile la giustizia fu casuale, capricciosa e risparmiò molti che seppero fare in tempo il necessario il salto di barricata.

Per pietà umana verrebbe da dire che Starace pagò un conto eccessivo, perché ormai non era più nulla, e anni di umiliazioni e indigenza erano stati una pena ben più grave.

Ma per obiettività storica non possiamo non sottolineare che pochi come Starace contribuirono a costruire quel clima -in parte farsesco- che avrebbe portato l’Italia al disastro della guerra.

Anche se al 10 giugno del 1940 egli non deteneva più alcun effettivo potere politico, è anche vero che fu il più diretto e fedelissimo collaboratore di Mussolini nel mettere l’Italia su una strada senza ritorno.

Per contro, è altrettanto vero che l’uomo fu onesto e leale nei confronti del suo Capo, che non cercò gli arricchimenti e le sistemazioni così classiche nell’italiano medio.

Ma questa scusante, quando si vanno a leggere le cifre agghiaccianti di morti e distruzioni a cui portò un bellicismo coltivato per anni e anni, non basta.

La pena di morte non garba, per nessuno, ma non garba nemmeno chiudere gli occhi davanti ai dati di fatto.

Su una sola cosa vorremmo render giustizia ad Achille Starace: si è detto che fu l’inventore di mille buffonate, ma siamo sicuri che sia possibile fare anni di buffonate senza avere un popolo che con queste buffonate, in fondo, si diverte?

Concludendo si può dire che Starace fu ammazzato tre volte; forse la morte più misericordiosa gliela diedero i partigiani che, dopo una farsa di processo, si limitarono a maltrattarlo per qualche ora e poi lo uccisero a raffiche di mitra, nei giorni della grande mattanza di fine aprile del ’45.

Ma la morte più crudele gliela aveva inflitta il Duce, che con cinismo a un certo momento gettò dagli altari nella polvere questo suo servitore, fedelissimo per lunghi anni, lasciandolo poi nell’indigenza e nell’oblio.

E pure una storiografia affrettata e superficiale lo uccise, liquidandolo sempre come un cretino, con un epitaffio crudele ma soprattutto, forse, immeritato.

La sua fu una morte tra il comico e il tragico.

 

La mattina del 29 aprile 1945, (Mussolini era stato appena appeso a Piazzale Loreto) Starace, in tuta da ginnastica, si apprestava a fare jogging, ma venne riconosciuto da un gruppo di partigiani.

“Starace, dove vai?” gli chiesero, egli rispose seraficamente: “Vado a prendere il caffè”.

Venne caricato sul furgone e portato in Piazzale Loreto dove, davanti alla salma del suo idolo Mussolini, fece il saluto fascista, non si è mai capito se per sua volontà, come abbiamo ragione di credere, oppure perché costretto: per nulla intimorito rivolse il saluto romano al duce e prima di cadere fulminato dal plotone di esecuzione gridò:

“Fate presto, invece di picchiare e di insultare un uomo che state per fucilare!”.

Dopo venne fucilato e appeso accanto agli altri: morì da coraggioso.

Vien da dire che, alla fine, Achille Starace fa anche una certa tenerezza, sia per il suo attaccamento al dovere, sia per la sua affidabilità, sia per la fedeltà a Mussolini dal quale ricevette tanti onori ma anche tante cattiverie; alla fine avrebbe potuto rimanere, come tanti, nell’ombra, ma ingenuamente si prestò al gioco del destino, rimanendone volontariamente vittima.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

Una risposta a “Achille Starace e la fine del fascismo”

  1. 28 maggio 2022 – Da Nino Maiorino – Indubbiamente Starace affrontò la morte con grande dignità, cosa che non fece Mussolini, il quale aveva tentato di scappare di scappare camuffato da soldato tedesco.

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