8 marzo, Festa della Donna: le 10 maestre di Senigallia che nel 1906 ottennero il diritto al voto
Una storia ingiustamente dimenticata quella delle dieci maestre di Senigallia, e ai più sconosciuta, che merita invece maggior rilievo per il coraggio dimostrato e per il ruolo che ebbero nella conquista del diritto di voto alle donne
Per dieci mesi, dal luglio 1906 al maggio 1907, una rivoluzione di genere, diremmo oggi, tenne banco in una amena cittadina in provincia di Ancona. Dieci donne furono iscritte nelle liste degli aventi diritto al voto in Italia. Dieci maestre di Senigallia di diversa estrazione sociale e con contesti di vita molto dissimili, ma unite dallo stesso destino di docenza fatto di supplenze, lavoro precario, incarichi provvisori, viaggi in corriere, spostamenti in paesini sperduti per insegnare e in situazioni spesso disagevoli, ispirate da uno scritto di Maria Montessori, ottennero l’iscrizione alle liste elettorali dei propri paesi di residenza, Senigallia e Montemarciano.
Carola Bacchi, Palmira Bagaioli, Giulia Berna, Adele Capobianchi, Giuseppina Graziola, Iginia Matteucci, Emilia Simoncioni, Enrica Tesei, Dina Tosoni, Luigia Mandolini-Matteucci. Questi i nomi delle maestre stimolate dal “Proclama alle donne italiane” scritto dall’illustre educatrice, pedagogista, medico, neuropsichiatra infantile, filosofa e scienziata (anche lei marchigiana) a nome della Società “Pensiero e Azione” e pubblicato nel quotidiano “La Vita”. In verità, non soltanto loro risposero in maniera positiva e propositiva all’esortazione, ma furono parecchie donne in tutta Italia a far richiesta di iscrizione nelle liste elettorali poiché, come era scritto nel proclama, per chiedere il voto politico per titoli era sufficiente “fare domanda al Consiglio provinciale, unendo la fede di nascita e un attestato di aver compiuto studi almeno equipollenti alla terza elementare”.
Le Corti di appello delle varie città espressero parere negativo eccetto quella di Ancona che il 25 luglio 1906 respinse il ricorso del procuratore del Re contro l’iscrizione delle dieci maestre alle liste elettorali dei propri paesi di residenza, Senigallia e Montemarciano. Il fatto creò un enorme scalpore. Le maestre ebbero la fortuna di trovare ascolto presso il giudice Lodovico Mortara, brillante giurista, magistrato e futuro ministro di Grazia, giustizia e culti con il primo governo Nitti nonché vicepresidente del Consiglio e ministro ad interim dell’Interno e degli Esteri. La decisione passò alla storia come “sentenza Mortara”. Tra le motivazioni che hanno fatto propendere la Corte di Ancona per tale disposizione vi è quanto dichiarato dall’art.24 dello Statuto Albertino che così recitava: “Tutti i regnicoli sono eguali davanti alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi”. Non si legge alcuna esplicita proibizione del voto alle donne, dunque secondo Mortara non vi era nulla che ostava giuridicamente al diritto delle donne di poter votare.
Per i 10 mesi di attuazione, la decisione abbatté con un colpo di spugna, in maniera inusitata, secoli di discriminazione e sudditanza delle donne alla società maschilista e fece sì che le maestre potessero godere del diritto di voto. Il 4 dicembre 1906 però la Cassazione annullò la sentenza e nel maggio del 1907 le dieci maestre furono cancellate dalle liste elettorali.
In un’intervista rilasciata a “Il giornale d’Italia” del 1° agosto 1906, Mortara si dichiarò contrario all’estensione del voto alle donne e spiegò che la sua disposizione fu la conseguenza di una disamina della questione priva di ogni preconcetto personale.
Si potrebbe oggi dire che tale decisione sia scaturita da una favorevole congiuntura tra la decisione di dieci maestrine coraggiose ed emancipate, alfabetizzate e con un lavoro remunerato (sebbene modestamente) e l’insediamento per un anno soltanto, ma sufficiente, di un grande giurista nella Corte di Appello di Ancona che fece prevalere l’onestà intellettuale sui pregiudizi sociali.
Il 17 luglio 1919, su proposta dello stesso Mortara che allora era ministro, fu varata la legge n. 1176 con cui il Parlamento italiano ha riconosciuto la capacità giuridica alla donna, annullando l’istituto dell’autorizzazione maritale e aprendo alle italiane le porte del mondo del lavoro.
Una storia ingiustamente dimenticata quella delle dieci maestre di Senigallia, e ai più sconosciuta, che merita invece maggior rilievo per il coraggio dimostrato e per il ruolo che ebbero nella conquista del diritto di voto alle donne. La loro vicenda fece da apripista alla lotta per l’emancipazione femminile e negli anni successivi numerosi furono i dibattiti in materia. Poi l’Italia piombò nel ventennio del regime fascista che bloccò tutto e ricollocò la donna al ruolo esclusivo di “angelo del focolare”. Ma questa è un’altra storia.