24 maggio 1915, il Piave mormorava e l’Italia entrava nella Grande Guerra
Quella che sarebbe diventata una delle più celebri canzoni patriottiche d'Italia fu scritta negli ultimi giorni di guerra. L’autore era un noto compositore e poeta dialettale napoletano
Erano le 3:30 di un lunedì quel 24 maggio del 1915 quando le truppe italiane attaccarono l’Austria, dirigendosi verso le cosiddette “terre irredente” del Trentino, del Friuli e della Venezia Giulia per annetterle e completare l’unificazione territoriale cominciata col Risorgimento. Il nostro Paese entrò così in guerra, schierandosi con la Triplice Intesa (Russia, Francia e Gran Bretagna) contro Austria e Germania, sue alleate fino a quel momento.
La tragedia della Prima Guerra Mondiale costò all’Italia 650 mila morti e oltre 2 milioni di feriti. Fu celebrata dalla famosa “Canzone del Piave” che esaltava il coraggio e il sacrificio di tanti giovani italiani. Quel canto divenne l’inno della Grande Guerra (per un breve periodo, dopo la liberazione del 1945, fu usata anche come inno nazionale, prima che venisse adottato l’inno di Mameli).
Quella che sarebbe diventata una delle più celebri canzoni patriottiche d’Italia fu scritta negli ultimi giorni di guerra. L’autore era un noto compositore e poeta dialettale napoletano, Giovanni Ermete Gaeta, in arte E.A. Mario, il quale compose quel brano nel 1918, in un impeto di patriottismo in una sola notte e non ci guadagnò quasi nulla, perché la SIAE non gli riconosceva i diritti d’autore, considerando il testo come “inno nazionale” e quindi proprietà statale.
Dopo la disfatta di Caporetto il 24 ottobre 1917, la linea del fronte si era spostata sul fiume Piave. Nel giugno 1918 l’Austria provò a sferrare il colpo definitivo: l’offensiva ebbe inizio il 15 giugno, ma l’esercito italiano riuscì a fermarla e il 22 giugno la “battaglia del Solstizio” (come la chiamò Gabriele D’Annunzio) ribaltò le sorti e terminò con la vittoria dell’Italia. In quei giorni Gaeta era al lavoro in un ufficio postale, e, come raccontò lui stesso, gli sgorgarono dal cuore tre strofe che scrisse di getto sui moduli di servizio interno: “Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il 24 maggio”.
Raffaele Gattordo, in arte Enrico Demma, era un talentuoso attore teatrale e cantante molto amico di Gaeta. Mentre si trovava al fronte, cominciò a cantare “La leggenda del Piave” del suo amico. Grazie ai versi patriottici e alla musica orecchiabile a tono di marcia, in brevissimo tempo la canzone divenne molto popolare fra le truppe. Il comandante supremo dell’esercito, il generale Armando Diaz, mandò a Mario un telegramma di congratulazioni: “La vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale”.
La resistenza eroica sul fiume Piave risollevò le sorti del conflitto. La gran parte dei soldati italiani erano meridionali ed erano considerati carne da macello. La riprova di ciò ci viene dalle lettere che il re d’Italia Vittorio Emanuele III inviò a Garibaldi con la richiesta di giovani meridionali che potessero essere reclutati per la grande guerra. Una strage di siciliani, calabresi, campani e lucani, disposti in prima linea, mentre i reclutati del nord venivano impegnati soprattutto nelle fabbriche di armi. I racconti dei sopravvissuti parlano di giovani feriti a morte che invocavano la protezione della Madonna e la propria madre nei più disparati dialetti del sud: “Mammà!; Maronna mia!; Matri mia !; Oje Maronna!”.
Papa Benedetto XV definì la Prima Guerra Mondiale “una inutile strage”.
La “Leggenda del Piave” rimase popolarissima e venne eseguita il 4 novembre 1921 all’inaugurazione del monumento al milite ignoto, al Vittoriano di Roma.