scritto da Elvira Coppola Amabile - 30 Dicembre 2019 11:09

Cosa vedremo nel 2020?

Il 2019 ci sta lasciando, ma l’anno che sta per arrivare, si prospetta impegnativo per la politica globale e per gli attesissimi sviluppi in molte regione del mondo.

L’anno 2020 rappresenterà probabilmente la fine di un’era e l’inizio di un nuovo ciclo, che sradicherà il populismo manifestato nelle varie forme nazionali o lo rafforzerà, rinnovandolo in un’ inedita veste e fornendo ancora una volta speranze agli elettori. Quella a cui abbiamo assistito dalla vittoria di Trump nel 2016, è stata un’ondata vasta, sterminata, di candidati e partiti anti-sistema che hanno trionfato o sono cresciuti in modo esponenziale in tutti i continenti.

I mesi che ci attendono delineeranno il destino di molti popoli, come quello iraniano, vessato dal caos continuo che non sembra cessare, o quello di Honk Kong, i cui cittadini protestano dallo scorso giugno per ottenere maggiore democrazia dal potere centrale di Pechino. L’unica certezza che ci attende con l’arrivo del nuovo anno, è che le sinistre europee, i partiti socialdemocratici o più i generale, i partiti anti-sovranisti sono arrivati alla resa dei conti,  quindi sarebbe giusto porsi la seguente domanda: “Riuscirà la sinistra a smorzare definitivamente il mito degli anti-sistema e il binomio populisti-sovranisti?” Capiremo se ci sono serie possibilità, solamente dopo aver dato un’occhiata alle date elettorali che ci attendono nel 2020 e che seguiremo insieme.

Il prossimo 21 febbraio, i cittadini iraniani voteranno per rinnovare i seggi del Majlìs, il parlamento. È alquanto complicato fare delle previsioni, a causa della dubbia metodologia di selezione dei candidati, ma anche per via delle innumerevoli proteste sul carburante che negli ultimi mesi hanno scatenato repressioni violente. La destra può contare sulla sua guida suprema, ovvero Ali Khamenei, mentre il centro-sinistra si riunisce intorno alla leadership del presidente Hassan Rouhani (considerato affidabile per i suoi buoni rapporti con l’occidente). L’Europa spera proprio nella vittoria di quest’ultimo, per poter avviare un dialogo positivo volto al miglioramento della difficile situazione e per riportare ordine sullo scacchiere internazionale.

Un paio di settimane più tardi, il 2 marzo, avranno luogo le elezioni parlamentari in Israele (le terze nel giro di un anno). Dopo il voto ad aprile e settembre, le forze politiche favorite sono il Likud, partito di destra del primo ministro Benjamin Netanyahu, e Blu e Bianco, partito di centro guidato da Benny Gantz. Il governo uscente è proprio quello di Netanyahu che ha governato grazie all’aiuto di una coalizione di destra, nazionalista e religiosa. L’ago della bilancia potrebbe essere un altro partito di destra nazionalista ma laico, chiamato Yisrael Beiteinu, che secondo alcuni esperti potrebbe convergere su molte posizioni con Blu e Bianco, e dare vita ad un esecutivo. Ma il problema principale secondo i sondaggi è la maggioranza, infatti secondo le rilevazioni statistiche il Likud avrebbe 33 seggi, mentre a Blu e Bianco ne sarebbero assegnati 37. Ciò renderebbe obbligatorio la formazione di una coalizione post-elettorale, per questo si preannuncia un’ulteriore stallo politico che potrebbe culminare con l’annuncio di una quarta elezione quasi sicuramente in estate.

In Serbia, il presidente Aleksandar Vučić non ha escluso che le elezioni si tengano prima di aprile. Il partito di Vučić (Progressista di destra) ricevette il 48% dei voti nelle scorse elezioni pari a 131 seggi sui 250 totali. Il partito rivale, quello socialista di centro-sinistra ne ottenne 100 in meno. Nell’ultimo anno, la politica serba ha vissuto momenti di tensione come le diverse manifestazioni tenutesi a Belgrado dalle opposizioni, ma anche l’uccisione del politico di sinistra Borko Stefanović che ha scosso fortemente il paese. Molti serbi hanno accusato l’attuale presidente di aver ristretto la libertà di stampa e di aver instaurato un regime autoritario. Al momento, non possediamo sondaggi in merito, ma le prime previsioni fanno trapelare uno scenario negativo per Vučić che dovrebbe perdere diversi seggi a causa del notevole aumento del partito socialista.

A maggio, si terranno le votazioni in Etiopia. Il primo ministro Abiy Ahmed (neovincitore del premio Nobel per la Pace) punta alla riconferma e cercherà di estendere il suo mandato per altri 5 anni. Il merito principale che gli va riconosciuto è la riapertura dei rapporti con la vicina Eritrea, ma anche le numerose riforme realizzate. Il partito che lo sfida è il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope (più conosciuto con la sigla EPRDF), coalizione composta da quattro partiti etnici che hanno aumentato il sostegno anche grazie a metodi altamente discutibili e autoritari. Negli ultimi anni, l’Etiopia non è riuscita a individuare una soluzione alle gravi tensioni etniche che sono una delle emergenze primarie del paese. France 24 ha scritto che il risultato delle elezioni «potrebbe stabilire se la transizione in Etiopia dall’autoritarismo alla democrazia, avviata da Abiy ormai un anno e mezzo fa, si realizzerà o fallirà».

Nel mese di settembre, ad Honk Kong, si voterà per eleggere i 70 membri del Consiglio legislativo di Hong Kong, cioè il parlamento unicamerale locale. Saranno indubbiamente le elezioni più importanti degli ultimi decenni. La competizione è divisa in partiti filo-cinesi che vorrebbero continuare a mantenere Hong Kong sotto lo stretto controllo politico del governo di Pechino, e quelli filo-democrazia, che vorrebbero fare il contrario. La crisi a Honk Kong è iniziata a giugno, quando scoppiarono varie manifestazioni contrarie alla legge che prevedeva un processo semplificato per le estradizioni in Cina (alcuni analisti avevano rivelato che in tal modo il governo cinese avrebbe potuto punire più duramente i suoi dissidenti).

Allo stato attuale, il governo cinese non è ancora intervenuto direttamente per risolvere il problema dei manifestanti, ma secondo alcune fonti, si starebbe adoperando per “innacquare” gli scontri e farli terminare. Non a caso, la data precisa di questa elezione non è stata ancora fissata, dal momento che potrebbero essere annullate. Le elezioni non saranno comunque libere e democratiche, anche solo per il meccanismo previsto per il rinnovo del Consiglio: dei 70 membri, infatti, solo 35 vengono eletti direttamente, con un sistema proporzionale, mentre per gli altri 35 è prevista un’elezione indiretta attraverso collegi professionali e sulla base di elettorati limitati. Già questo, ci dovrebbe far capire le difficoltà da parte degli indipendentisti di Honk Kong di tradurre, coniugare il proprio movimento in una vittoria certa.

Il 3 novembre 2020, si apriranno i seggi negli Stati Uniti per eleggere il quarantaseiesimo presidente. Si aspetta con trepidazione il nome dello sfidante democratico, anche se per saperlo dovremo attendere la fine delle primarie previste per giugno 2020. In ogni caso, sarà una campagna ancora più cruenta di quella del 2016 e il risultato appare incerto. Peserà l’impeachment ma anche la capacità del candidato democratico di riunire, ricompattare il partito, convincere gli indipendenti, proporsi come valida alternativa a Trump e avere delle idee e delle convinzioni profonde ma realizzabili. Gli esperti di geopolitica mondiale, sostengono che esattamente come nel 2016, chi vincerà il prossimo anno potrebbe inaugurare un periodo di ritorno delle sinistre nel mondo (vittoria di un democratico) o un periodo di proseguimento dei populismi (vittoria di Trump). Quest’ultimo gode di un tasso di popolarità di oltre 40 punti percentuali e potrebbe battere candidati centristi come l’ex vicepresidente Joe Biden. Infine va sottolineato che la quantità di denaro che la campagna di Trump ha a disposizione è molto più elevata rispetto a quella di tre anni fa.

A novembre, in Egitto, ci saranno le prime elezioni parlamentari dall’introduzione delle modifiche alla Costituzione approvate definitivamente lo scorso aprile. Tra queste modifiche c’è il ritorno del Senato sulla scena politica (abolito nel 2014), la metà dei membri sarà eletta, mentre l’altra metà verrà nominata dal presidente. Le elezioni non sono purtroppo libere e democratiche a causa dell’ex generale e oggi presidente al Sisi che compiendo una controrivoluzione ha attuato un regime autoritario. Inoltre al Sisi ha bandito il movimento politico-religioso “Fratelli Musulmani” a cui apparteneva l’ex presidente Mohamed Morsi morto lo scorso giugno. Tanti gli arresti dei leader della Coalizione della Speranza, nuova formazione politica che raggruppa alcuni partiti d’opposizione.

Entro il 21 novembre si voterà anche in Nuova Zelanda per la chiusura naturale del mandato parlamentare. La leader dei laburisti Jacinda Ardern controlla la coalizione con i verdi e il New Zealand First e in base ai sondaggi è la favorita. Il Partito Nazionale guidato da Simon Bridges, spera di strappare la maggioranza ai laburisti e costruire una nuova coalizione. Parallelamente alle elezioni politiche ci saranno anche due referendum, il primo , confermativo sulla legalizzazione dell’eutanasia e il secondo, non vincolante sull’uso personale della cannabis.

In Srilanka, a novembre, le elezioni si sono concluse con un nulla di fatto. Saranno replicate il prossimo 1 dicembre. Ci sono due partiti che hanno visioni molto differenti, il  Fronte Nazionale Unito che sarà cappggiato dall’ex primo ministro Ranil Wickremesinghe, mentre l’Alleanza della Libertà del Popolo Unito, potrà fidarsi della propria leader Mahinda Rajapaksa. Il Fronte Nazionale Unito aveva iniziato una serie di riforme conciliatorie tra la minoranza Tamil, i musulmani e gli induisti. Il partito della famiglia Rajapaksa, invece, tutela espressamente gli interessi della comunità singalese con frequenti riferimenti al nazionalismo e alla necessità di maggiore sicurezza, un argomento particolarmente sentito nel paese dopo gli attentati dell’aprile 2019

Dopo le elezioni del 22 dicembre, anche la Croazia si trova impantanata in uno stallo politico infatti le prossime elezioni sono previste entro il 23 dicembre 2020. La competizione principale sarà tra l’HDZ e i Socialdemocratici, i primi sono quotati al 27%, i secondi sarebbero fermi al 25%.
L’attuale partito al governo è guidato dall’Unione Democratica (HDZ, la sigla in croato), partito europeista e di centrodestra che alle ultime elezioni parlamentari, tenute nel settembre 2016, era stata la prima forza politica del paese superando di pochi punti percentuali il Partito Socialdemocratico, europeista e di centrosinistra, che era finito così all’opposizione. L’attuale governo, guidato dal primo ministro Andrej Plenković, ha attraversato una crisi nell’aprile 2017, quando il partito Ponte delle Liste Indipendenti, conservatore e fino a quel momento parte della coalizione di maggioranza, aveva deciso di lasciare il governo per una decisione controversa del ministro delle Finanze e relativa a diverse irregolarità compiute da una delle più grandi aziende croate, Agrokor. HDZ era poi sopravvissuto a una mozione di sfiducia e aveva formato una nuova maggioranza con alcuni parlamentari di altri partiti.

Paesi incerti sul voto

In Venezuela, l’Assemblea Nazionale (ultimo organo eletto democraticamente nel paese) dovrebbe rinnovarsi entro fine 2020. Non è detto che queste elezioni ci saranno perché le opposizioni lo boicotterebbero sostenendo che esse non sarebbero democratiche a causa della forte pressione esercitata da Nicolas Maduro.

Anche in Bolivia si dovrebbe votare dopo le dimissioni di Evo Morales a seguito delle cruente proteste di quest’autunno Jeanine Áñez, presidente ad interim grazie a un voto senza il numero legale in Senato, ha promesso che le elezioni si terranno il prossimo anno, ma non ha fornito una data precisa dal momento che sarà necessario annullare ufficialmente le precedenti elezioni e successivamente edificare un comitato che vigili sulle nuove elezioni.

Non si dovrebbe votare in Sudan, per via di un accordo di transizione stipulato tra i militari  e i civili che prevede nuove votazioni non prima del 2022.

Queste sono solo le date più importanti di cui sentiremo parlare nel 2020, ma viste le delicate situazioni politiche e i governi instabili (vedere il nostro), al termine dell’anno prossimo altri paesi si saranno aggiunti a questa lista che è quindi parziale, provvisoria. Vedremo come si evolveranno le elezioni nei vari paesi e cercheremo di comprendere al meglio quali cambiamenti comporteranno all’Italia, alla narrazione mediatica e alle nostre vite.

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