scritto da Rosa Montoro - 29 Novembre 2023 14:04

LIBRI & LIBRI La scrittura è un attrito e produce calore umano

Questo piccolo romanzo porta il titolo "Mattino e sera” perché si svolge nell’arco di una giornata, simbolicamente inizio e fine di due vite con lo stesso nome

Forse chiedo troppo, volendo scrivere una riflessione su libro di un premio Nobel: Jon Fosse. Questo piccolo romanzo porta il titolo “Mattino e sera” perché si svolge nell’arco di una giornata, simbolicamente inizio e fine di due vite con lo stesso nome.

Che cosa mi ha conquistato?

Prima di tutto la scrittura, che segue lo stato lo psicoaffettivo dell’io narrante. Segue la percezione, modellando la rappresentazione e cercando di adattare le regole grammaticali all’obiettivo di seguire questo stato emotivo e ci riescono alla perfezione. Ci riescono come solo la poesia può riuscirci.Il risultato è difarlo diventareuna poesia lunga 152 pagine. Una poesia sulla vita e sulla morte unite e colluse fino a consumarsi nella consapevolezza di essere umani. Un disegno dolcemente criminoso addolcito di riflessioni, pensieri, immagini srotolate nell’arco di un tempo previsto dal mattino a sera.

La mia bisnonna si domandava a voce alta: cosa è stata la mia vita? E sempre si rispondeva: un’affacciata alla finestra. Mi sono mi sono ricordata di queste parole che si ripetevano in famiglia sorridendo amaramente.Ho pensato sì, è proprio così,i personaggi di questo romanzo si sono affacciati a quella finestra. Olai, padre di Johannes che nasce, vede sua moglie che partorisce e segue le gesta sapienti della vecchia levatrice. Quel figlio, atteso, desiderato tanto lo sospende tra gli affetti che ha e la realizzazione di un sogno, quell’area rarefatta da tante sensazioni contraddittorie è quella del sogno, Olai vede la moglie stringere il figlio appena nato: “…Marta accarezza senza sosta il piccolo Johannes sulla schiena e dice su su, adesso calmati, non devi piangere così, va tutto bene, dice Marta e lo dice con un respiro profondo e lento, una respirazione che giunge da un luogo quieto ed esterno al mondo, pensa Olai mentre è in piedi accanto al letto dove si trova Marta e il piccolo Johannes, il piccolo Johannes sente la sua voce piange in questo mondo e le sue urla riempiono il mondo in cui si trova e nulla è più caldo e nero e un po’ rosso e umido e integro, adesso il tutto sono i suoi stessi movimenti, e lui che adesso riempie ciò che è e lui e la sua voce sono distinte e separate ma allo stesso tempo non lo sono e c’è anche qualcosa, qualcosa di cui lui è parte ma non lo è perché la sua voce si distingue là fuori e viene verso di lui e si fa sempre più alta” (Jon Fosse – Mattino e sera – p. 27 ed. La nave di Teseo 2023)

Un bambino nasce il discorso si apre, suo padre cerca le parole, le parole per iniziare il discorso, raccontare quello che prova.

Nellaseconda parte troviamo un altro Johannes nell’ultimo giorno della sua vita, la realtà, anche qui, è tutta nella percezione che lui ha della sua vita enella costatazione che la vita di tutti gli esseri umani non finisce con la propria morte ma con la scomparsa graduale delle persone che amiamo: Erna la moglie con cui ha condiviso lunghi anni e sette figli, il calzolaio che Jakop che abita nella curva, buono e gentile, con cui scambiare due chiacchiere ogni tanto, l’amore giovanile Anna Pettersen cui ha scritto una lettera senza risposta, perché lei si è innamorata di un altro.

Scopriamo a poco a poco che in realtà (ma qual è la realtà?) Johannes sta morendo accompagnato dal suo migliore amico. Poche cose essenziali accompagnano un “Mattino e sera“, l’importante è che siano pieni di dolcezza, tenerezza e solidarietà umana. La violenza è bandita dalla narrazione di questo libro, forse per scelta dell’autore, ma a me piace pensare che la violenza non possa aver nulla a che fare con la poesia.

Tutto il romanzo è costruito d’un fiato, un respiro veloce com’è la vita fino alla morte. “Adesso sei morto anche tu, Johannes, dice Peter. E dal momento che io ero il tuo migliore amico,, mi è stato affidato il compito di aiutarti a passare al di là, dice.(cit. p. 145)“È terribile laggiù dice Johannes, ma perché abbiamo pescato i granchi. Dovevi disabituarti  alla vita, qualcosa dovevamo pur fare, dice Peter….”(cit. p.147)

Dove andremo? Dice Johannes Adesso fai domande come se fossi ancora vivo, dice Peter …Dove andremo non è nessun posto e per questo motivo non possiede un nome… Non esistono parole dove andremo” (cit. p.148). La scrittura è un attrito che produce calore umano e non si ferma finché dura la vita.

Rosa Montoro è nata a Sarno e vive a Cava de’ Tirreni, laureata in Sociologia lavora in un ente pubblico, è sposata e ha due figlie. Ha ricevuto vari premi per la poesia, nel 2017 ha pubblicato "La voce di mia madre", una raccolta di poesie inserita nel catalogo online “Il mio libro” – Gruppo editoriale Espresso. Per la narrativa è stata premiata nel 1997 per il racconto "Il cielo di Luigino" pubblicato nel testo collettaneo “Nuovi narratori campani” dell’editore Guida di Napoli. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2000 il romanzo breve "Il silenzio della terra" premiato nel 2001 al Concorso Europeo di narrativa “Storie di Donne” FENAL circoli europei liberi, secondo premio. Infine, "Il Circolo degli illusi", edito da Oedipus - 2018.

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