scritto da Angela Senatore - 13 Settembre 2025 08:04

LIBRI & LIBRI A colloquio con Munir Hachemi, autore di Cose vive

Quattro amici, partiti dopo la laurea per una esperienza di lavoro estivo nel sud della Francia, si ritrovano a fare i conti con una realtà lavorativa fatta di sopraffazione, spietatezza e sfruttamento su uomini e animali, trattati come cose, cose vive certo, ma pur sempre cose

Il Salerno Letteratura Festival si è concluso da qualche mese ma, in chi, come me, lo segue con partecipazione c’è, da una parte, ancora dl ricordo della scorsa edizione, dall’altra l’attesa della nuova.

Dopo aver intervistato, nel mese di giugno, Lucie Faulerova (clicca qui https://www.ulisseonline.it/cultura/intervista-a-lucie-faulerova-autrice-di-io-sono-labisso-vincitore-del-premio-salerno-libro-deuropa-2025/ per leggere) le Tom Hofland, (clicca qui Intervista a Tom Hofland, autore di “Il cannibale” vincitore del Premio Salerno Libro d’Europa – Ulisse online per leggere) autori rispettivamente di “Io sono l’abisso” e “Il cannibale”, concludo il ciclo delle interviste dei vincitori del Premio Salerno Libro d’Europa con la chiacchierata con Munir Hachemi, autore di Cose vive, edito da La nuova frontiera, con il quale ci incontriamo in videochiamata con la traduttrice, Alice Papa.

Cose vive è un romanzo autobiografico in cui l’autore racconta l’esperienza vissuta insieme a tre amici spagnoli qualche anno prima del momento in cui la storia viene scritta. La distanza temporale serve a rielaborare fatti la cui violenza è talmente atroce da richiedere una metabolizzazione lenta, forse anche salvandoli dalla rimozione, che sarebbe più facile. Come dice al protagonista G., uno dei suoi amici, la storia raccontata forse “è soltanto una litania che intono per non ascoltare il terrore che bisbiglia all’orecchio da anni”.

Quattro amici, partiti dopo la laurea per una esperienza di lavoro estivo nel sud della Francia, si ritrovano a fare i conti con una realtà lavorativa fatta di sopraffazione, spietatezza e sfruttamento su uomini e animali, trattati come cose, cose vive certo, ma pur sempre cose. La ferocia della condizione nella quale si trovano a vivere condurrà alcuni di loro a fare scelte, anche molto drastiche, che influenzeranno per sempre le loro vite future.

Prima di entrare nel vivo della narrazione, nel romanzo c’è una lunga disamina del concetto del fare letteratura. Tutto il romanzo è permeato da due livelli: la riflessione sulle tecniche della narrazione e lo sviluppo della storia principale. Qual è la ragione per cui hai sentito la necessità di questa parentesi su cosa significa per te narrare?

La storia parte da un desiderio impossibile da realizzare: il protagonista vuole raccontare i fatti esattamente come sono accaduti ma questa è una ambizione impossibile da realizzare. Ciononostante, vale la pena tentare di raccontare le storie come accaddero, almeno questa è l’idea di letteratura che ho io. Quindi per me, l’idea di raccontare l’esperienza non è “raccontare l’esperienza come accadde” ma  raccontarla in un modo tale che il  lettore, percorrendo altri passaggi, può giungere a conclusioni similari alla vera esperienza vissuta.

Nel racconto fai anche una riflessione sulla memoria. C’è un contrasto in apparenza insanabile tra il desiderio di raccontare i fatti per come accaddero e il ricordo degli stessi da parte di chi li ha vissuti che non è sincero. È un contrasto risolvibile?

Mi piace questa domanda perché in realtà ciò che si vuole raccontare, che io voglio raccontare, non sono i fatti ma la memoria di quei fatti. Io credo che questo contrasto non sia risolvibile. Nel contrasto tra realtà e finzione vince la finzione. Per il protagonista, raccontare le cose bene è più importante di raccontarle come andarono. È più importante che il libro sia una buona storia anziché sia una buona cronaca. Attraverso questa modalità, penso si possa creare una nuova realtà o, per meglio dire, una nuova memoria.

A questo punto la domanda viene spontanea: esiste una letteratura realista? Perché tu dici che non ti piacciono ad esempio quelli che fanno finta di aver trovato un manoscritto, al punto che non vale neanche la pena nominarli (il nostro Manzoni si starà rivoltando nella tomba).

Il narratore realista fa un torto alla letteratura, è come se odiasse la letteratura: anziché narrare , vuole fare una cronaca. Non vuole tradire i fatti ma in tal modo tradisce la letteratura.

Passando a parlare della storia narrata, quella principale, che valore ha per te l’esperienza?

L’esperienza nella storia è ciò che spinge il narratore ad un cambiamento di idee, che è un cambiamento politico al quale giunge attraverso il dolore, la sofferenza ma anche attraverso la narrazione. Nel libro ci sono quattro personaggi ed uno dei quattro, Ernesto, vive l’esperienza in maniera diversa. Narrativamente, volevo mostrare come una stessa esperienza possa determinare conseguenze, effetti, riflessioni diverse. Si tratta di una tecnica letteraria e rientra nella mia idea di letteratura.

Mi ha colpito che, nella storia, i quattro amici, neo laureati, partano per una esperienza di lavoro in Francia e che questa esperienza mi sembra di capire sia frequente tra gli spagnoli, non così in Italia. Me lo confermi?

In generale, sì, è molto comune che i giovani laureati prima di inserirsi nel mondo del lavoro per il quale hanno studiato facciano delle esperienze all’estero con lavori stagionali. Il fatto che si scelga spesso la Francia come destinazione dipende banalmente da un fattore economico: in Spagna il salario minimo è anche di 7 euro all’ora, in Francia di 15. Si tende a dire che si va a lavorare in “Europa” , quasi come se la Spagna ne fosse fuori.

Nella narrazione, i ragazzi arrivano nel luogo di lavoro pieni di ottimismo , dopo qualche giorno tutto cambia, al punto che il protagonista ad un certo punto dice “faccio tutto con meno veemenza”in quanto il lavoro che si trova a fare lo fiacca non solo nel corpo ma anche nello spirito. Al tempo stesso, nel gruppo iniziano delle liti, tra i quattro amici ma anche con gli ospiti del campeggio, addirittura uno degli amici spacca la sua chitarra. Racconti una sorta di violenza come reazione ad un lavoro disumanizzante. È come se trovassi una giustificazione alla violenza nelle condizioni di lavoro. È così? Quando l’uomo vive nel disagio, anziché ribellarsi all’oppressore, usa violenza verso l’esterno, verso gli altri.

Credo che la parola che definisce la storia intera sia “deception” ossia inganno. I giovani sono delusi perché ingannati dalla loro stessa idea: pensavano di andare in Francia per divertirsi, passare una bella estate, fare amicizia, si ritrovano a fare un lavoro cruento e feroce. La violenza di quel lavoro, ricevuta e provocata negli animali, crea un circolo dal quale i ragazzi devono in qualche modo uscire, sfogandosi. Questa energia incamerata e repressa a lavoro deve poi venir fuori in qualche modo. Si crea un meccanismo psicologico.

Il protagonista dice “mentre lavoro ho imparato ad assentarmi”: sembra così difendersi da una situazione troppo pesante psicologicamente, schermando la mente, alienandosi come avrebbe detto Marx. È la trasformazione dell’uomo in automa. Come si fa a restare umani?

Buona domanda. Nel caso specifico, io penso che i quattro amici riescono a restare umani perché scappano. Malgrado io sia una persona abbastanza ottimista, nel libro non c’è ottimismo: i lavoratori non si uniscono in una forma solidale per lottare e migliorare le condizioni, semplicemente non lo fanno perché è la struttura stessa del loro lavoro che glielo rende impossibile essendo strutturato in maniera tale da non riuscire a creare una comunità tra gli stessi. Il lavoro è diabolicamente organizzato per disumanizzare. Inoltre credo che ci siano due elementi di cui tener conto che influenzano negativamente la possibilità di associarsi dei lavoratori: da una parte, la cultura del lavoro occidentale è di tipo individualista, ciascuno pensa al proprio interesse personale, non considerando quello generale come proprio; dall’altra, il fatto che si tratta di un lavoro temporaneo il che determina una maggior difficoltà e disinteresse a portar avanti battaglie comuni per i diritti visto che i lavoratori interessati cambiano di continuo.

Riflettendoci dopo tutti questi anni, come mai credi che tu e i tuoi amici, protagonisti di questa storia, non siete andati via prima da quell’inferno?

È vero: i quattro protagonisti pensano più volte di andar via dal campo di lavoro e poi non lo fanno. All’inizio in loro predomina la sfida, la voglia di farcela, e per tutto il tempo non tornano, da una parte, perché si sentono in trappola, dall’altra, perché lo vivrebbero come un fallimento. Per fortuna, come detto, alla fine si salvano, scappando.

Intervista resa possibile grazie alla traduzione da e verso lo spagnolo di Alice Papa.

 

Giornalista pubblicista, collabora con Ulisse online dal 2021 occupandosi principalmente della pagina culturale e di critica letteraria. È stata curatrice della rassegna letteraria Caffè letterari metelliani organizzata da Ulisse online e IIS Della Corte Vanvitelli e ha collaborato con Telespazio in occasione del Premio Com&te. È da maggio 2023 responsabile della Comunicazione di Fabi Salerno. Abilitata all’esercizio della professione forense, lavora in una delle principali banche italiane con specializzazione nel settore del credito fondiario.

Una risposta a “LIBRI & LIBRI A colloquio con Munir Hachemi, autore di Cose vive”

  1. Intervista molto interessante, non conoscevo questa realtà lavorativa tra i giovani spagnoli. Sento un colpo al cuore quando i giovani vivono cocenti delusioni, come se il mondo adulto li avesse traditi, come se cadesse per la seconda volta, dopo aver abbandonato l’infanzia, il velo dorato dell’innocenza.

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