scritto da Vincent Palma - 30 Settembre 2022 09:52

LA SETTIMA ARTE C’era una volta in America 38 anni dopo: la “fine del cinema” nel capolavoro di Sergio Leone

LA SETTIMA ARTE C’era una volta in America 38 anni dopo: la “fine del cinema” nel capolavoro di Sergio Leone

“Messieurs, le cinéma est fini ce soir”.

Questa fu la presentazione alla prima internazionale di un film divenuto cult nel tempo, a detta di molti, ancora oggi una delle migliori opere della cinematografia del XX secolo. Il 28 settembre di 38 anni fa usciva nelle sale italiane il capolavoro di Sergio Leone, “C’era una volta in America”, pellicola dal fascino immortale, dall’atmosfera nostalgica, in grado di sublimare le emozioni e i temi ivi trattati in modo unico ed irripetibile.

Presentato fuori concorso al 37º Festival di Cannes, riscosse scarso successo tra il pubblico; le ragioni dell’accoglienza, al di sotto delle aspettative e soprattutto ben distante dal successo che maturerà in seguito, furono attribuite alla pessima versione montata dal produttore Arnon Milchan, privata di moltissime scene e caratterizzata da un montaggio che segue l’ordine cronologico degli eventi.

La scelta prettamente commerciale non diede i risultati sperati. In Europa invece, dove fu distribuita la versione montata secondo le direttive del regista, le cose andarono meglio, ottenendo ottimi risultati in Germania, in Francia e in Italia.

Per la scelta degli attori Sergio Leone si affidò a stelle del cinema, su tutte Robert De Niro nei panni di “Noodles”, ed esordienti, formando un cast mirato ed eterogeneo.

Per il ruolo di “Max” fu scritturato Joe Pesci, attore la cui bravura fu certo riconosciuta da Leone; questi, tuttavia, non ritenendolo adatto per la parte, alla fine optò per James Woods, su consiglio dello stesso De Niro.

L’aneddoto è sintomatico dell’accuratezza con la quale il regista si approcciò ad ogni scelta riguardante la pellicola, alla quale lavorò per più di dieci anni. Il film tratta la storia di David Aaronson (Noodles) e dei suoi amici, giovani criminali nell’America dei primi del 900, in un viaggio temporale che, dal proibizionismo fino agli anni 60, mantiene la promessa fatta sin da subito, garantendo,attraverso continui flashback, quell’inquietudine che caratterizzerà l’opera fino alle scene finali.

Magistrali inquadrature segnano il passaggio tra un tempo e l’altro, un telefono che squilla compulsivamente, un tiro d’oppio, una fessura fra le piastrelle del bagno, come una finestra sui ricordi, accendono in Noodles sensazioni passate, le illusioni di un tempo rivelatesi per quel che erano e l’amarezza di un presente colmo di rimpianti. “L’unica cosa che ci resta è qualche ricordo”.

Quanto mai rappresentativa la frase che “Deborah”rivolge a Noodles nel finale, volta a tenere a riparo dalla verità i valori e i sentimenti più puri, nel contesto quasi utopici, del protagonista. Noodles è un amico leale, pronto a rinunciare anche all’amore della sua vita per Max, il suo amico fraterno, non ha manie di grandezza e al contrario di questi non è un arrivista.

Il riscatto sociale è uno dei temi ricorrenti nel film, ed è ad un tempo il motore delle vicende rappresentate: Max e Deborah sono uguali, vogliono entrambi “arrivare su in cima”, è lo stesso Noodles a dirlo e lo scenario finale non smentisce le parole del protagonista.

Max tradisce Noodles per giungere al vertice della malavita, un successo che lo porta a entrare in politica e a cambiare nome divenendo il senatore Bailey. Tuttavia, anche quando è chiaro il tradimento di Max, Noodles non sa accettarlo, ciò significherebbe distruggere l’immaginario felice della sua infanzia. Nel loro incontro sul finire del film, continua a chiamarlo con il nome del suo alter ego, “il signor Bailey”, fingendo di non riconoscerlo; mente a se stesso, nei panni di un pessimo attore, la cui espressione trasuda rimpianto, sdegno, la delusione di un destino amaro, quanto mai chiara nel sorriso beffardo prima dei titoli di coda.

Sensazioni analoghe ricorrono nei rapporti con Deborah, anch’essa dedita alla carriera e al successo più che alle relazioni sentimentali. La sera della cena, prima della sua partenza, gli rivela che è l’unica persona di cui le sia mai importato ma che il suo destino è a Hollywood, dove aspira a diventare un’attrice di fama internazionale. Sfumata ogni chance di congiungimento Noodles decide dunque di distruggere l’immagine angelica dell’amata, stuprandola e rompendo definitivamente i rapporti con lei.

Noodles è dunque un personaggio atipico all’interno della storia, non prende parte alla scalata sociale, sta bene dov’è, è uno che “la puzza della strada se la porterà dietro tutta la vita”. C’era una volta in America è una storia di amicizia, di sangue, una storia cruda e maschilista, fatta di silenzi, nei quali risuonano, evocative, la musiche del maestro Ennio Morricone.

Leone dipinge un’opera istintiva, passionale, accompagnata da una nostalgia latente, a metà fra il sogno e la realtà, tra il fumo dell’oppio e quello dei tombini, in un finale enigmatico, quanto mai iconico. Ebbene quando lo sguardo dello spettatore si culla fra le ombre cinesi dell’oppieria, quando il dubbio che tutto ciò che si vede non sia altro che il frutto dell’immaginazione del protagonista, tornano vigorose le parole di apertura, pronunciate dal presidente della giuria Krzysztof Zanussi alla prima internazionale: “Messieurs, le cinéma est fini ce soir”.

Nato e cresciuto a Salerno, ho intrapreso gli studi giuridici dopo aver conseguito il diploma scientifico, nutro da sempre una passione per la scrittura, lo sport, il cinema e la musica. Conoscere ciò che ci circonda e ciò che ci è ignoto è l’essenza della vita; leggere, viaggiare ed essere curiosi ne sono un presupposto imprescindibile.

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