scritto da Eugenio Ciancimino - 15 Settembre 2025 15:05

Regionali, regolati i cacicchi in pista i mandarini

Il mandarinato è nel dna delle Regioni ordinarie, un istituto costituzionale manipolato sin dal suo concepimento e di ventennio in ventennio per compromessi ed interessi partitocratici vigenti a seconda delle stagioni di vitalità delle forze politiche

Per le prossime consultazioni d’autunno il centrosinistra o campo largo dei progressisti, che dir si voglia , è già ai nastri di partenza con candidati designati nelle cinque Regioni in cui si vota, dopo avere regolato i conti con i cacicchi di Puglia e Campania. Mentre il centrodestra conferma i Presidenti uscenti nelle Marche ed in Calabria, ha abbozzato un’intesa con il cacicco del Veneto e vive in stato di riflessione per le candidature, civiche o politiche, in Campania e Puglia.

Le segreterie di PD e 5S in tre su cinque Regioni contendibili hanno calato parlamentari europei come assi di collettori di possibili consensi: Ricci e De Caro, rispettivamente, nelle Marche e Puglia, e Tridico in Calabria. Scelte irriguardose nei confronti dei loro elettori delle altre Regioni delle circoscrizioni che hanno conferito a ciascuno dei tre il mandato a rappresentarli a Strasburgo. È più appropriato parlarne come operazioni di aritmetica elettorale messe in cantiere dalle Segreterie dei rispettivi partiti in funzione di un’alternativa da costruire nelle consultazioni politiche del 2027 contro la coalizione del Governo di Giorgia Meloni.

Le anticipazioni delle candidature rispetto ai programmi, ancora in attesa di scrittura, e le agitazioni nei rispettivi dibattiti su temi di interesse nazionale e/o geopolitico piuttosto che su questioni e bisogni delle comunità locali sono altrettante cartine al tornasole della distorsione di una campagna elettorale non costruita con e per i territori.

Questa forma di impostazione oligarchica assunta dalle Segreterie nazionali dei partiti, dopo la stagione dei cacicchi, è praticata anche nel campo del centrodestra, ma in svantaggio rispetto al campo avverso nella designazione delle candidature. Tranne quelle degli uscenti in Calabria, Occhiuto, e nelle Marche, Acquaroli, e di una intesa per il Veneto, restano i nodi di Puglia e Campania da sciogliere per approcciare una onorevole sfida.

Si profila, dopo l’esperienza dei Governatori che hanno riscosso consensi a prescindere dai loro partiti di rifermento, una configurazione politicamente meno autonomistica per i rappresentati eletti nelle Regioni sottoposte alle oligarchie partitocratiche. Come una sorta di passaggio dai cacicchi ai mandarini. A ben vedere sarebbe un ritorno di fatto al sistema antecedente al bipolarismo dell’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, quando le alleanze, le aperture di crisi e le stesse nomine delle Giunte discendevano e venivano assunte in maniera verticale ed in rispetto di “pari dignità” delle decisioni interpartitiche (locuzione ricorrente nelle coalizioni della prima Repubblica). Investivano per omologazione anche amministrazioni locali di Città e Province.

Il mandarinato è nel dna delle Regioni ordinarie, un istituto costituzionale manipolato sin dal suo concepimento e di ventennio in ventennio per compromessi ed interessi partitocratici vigenti a seconda delle stagioni di vitalità delle forze politiche. Nate nel 1948, attuate nella forma assembleare 1970, passate all’elezione diretta del Presidente nel 1995, riformate in Costituzione nel 2001 e promosse per una autonomia differenziata nel 2024, riveduta e corretta dalla Consulta, ne attendono l’attuazione.

A futura memoria.

 

 

 

 

 

 

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