Regionali, la carica dei cacicchi
Su sei Regioni in cui si andrà al voto in tre di esse gli uscenti rivendicano l’aureola del riconoscimento del loro protagonismo nella scelta delle candidature e determinazione delle alleanze. Le spine pungono nel centrodestra in Veneto e nel centrosinistra o campo cosiddetto progressista in Campania ed in Puglia, i cui uscenti, avendo maturato due mandati consecutivi, non sono candidabili per la Presidenza, ma non intendono rinunziare ad un loro ingresso nei rispettivi Consigli regionali
La tornata elettorale d’autunno sarà ricordata come la “carica dei cacicchi”. Se ne configura lo schema nel braccio di ferro intrapreso dai Presidenti di Regioni di lungo corso con le Segreterie dei rispettivi partiti, o coalizioni, di riferimento.
Su sei Regioni in cui si andrà al voto in tre di esse gli uscenti rivendicano l’aureola del riconoscimento del loro protagonismo nella scelta delle candidature e determinazione delle alleanze. Le spine pungono nel centrodestra in Veneto e nel centrosinistra o campo cosiddetto progressista in Campania ed in Puglia, i cui uscenti, avendo maturato due mandati consecutivi, non sono candidabili per la Presidenza, ma non intendono rinunziare ad un loro ingresso nei rispettivi Consigli regionali.
È specifico il caso di Michele Emiliano (PD) in Puglia, alle cui aspirazioni non gradite dal candidato presidente Antonio De Caro (PD) si aggiungono quelle di un altro ex, Nichi Vendola (AVS). In Veneto, viceversa, la partita si sta giocando sull’appartenenza del candidato, pretesa dalla Lega, per non interrompere la continuità dell’esperienza dell’uscente Luca Zaia, e rivendicata da FdI, come forza di maggioranza relativa testata nelle precedenti consultazioni politiche ed europee.
Il livello dello scontro è frontale in Campania, dove il potenziale elettorale dell’uscente Vincenzo De Luca è determinante per la candidatura, concordata tra PD e M5S, del pentastellato Roberto Fico. Si tratta di un caso di trattativa privata approcciata da De Luca prima con Giuseppe Conte e poi contrattata con Elly Schlein, anche per la gestione del PD in Campania, che connota di clientelismo la rappresentanza politica. E favorito dal sistema di elezione diretta che esalta il leaderismo segna anche il declino della democrazia liberale che “ha esaurito – usando le stesse parole di De Luca rilasciate in una intervista a l’Espresso – il suo corso storico e i rappresentanti del popolo, in particolare in Italia, non rappresentano più niente”.
Al di là degli epiteti riservati ai componenti della Segreteria del PD (“anime morte” e “sciacalli”) che connotano un suo linguaggio da showman, De Luca solleva una questione in cui si intravedono forme di “feudalesimo” nei rapporti di governo tra poteri locali e centralismi istituzionali e partitocratici. Una novità, già connotata di civismo nelle città, che profilandosi a livello di Regioni esalta la cultura delle autonomie, interpretata dai cacicchi, e segna sui territori il declino delle rappresentanze parlamentari nazionali.
È un campanello di allarme per le stesse coalizioni che vanno delineandosi per le prossime consultazioni politiche. Chi se la caverà? Anche i cacicchi reciteranno le loro parti, ma non saranno sul punto ininfluente il tipo di legge elettorale e le motivazioni per mobilitare l’affluenza alle urne.
Speriamo che me la cavo, direbbe lo scugnizzo scolaretto napoletano.







