scritto da Eugenio Ciancimino - 09 Novembre 2025 10:31

Referendum, c’è un giudice anche per la condotta dei magistrati

Piero Calamandrei: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”

Nella prossima primavera si andrà a votare con un “sì” o “no” per la cosiddetta riforma della giustizia, il cui quesito è: “Approvate il testo della legge costituzionale ‘norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare’ approvata dal Parlamento in seconda approvazione a maggioranza assoluta, ma inferiore a due terzi dei membri, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025?”.

Si tratta di un voto di democrazia diretta esercitato dal popolo distinto e diverso, come previsto in Costituzione, da quello richiesto per l’elezione della rappresentanza. È perciò, al di là delle considerazioni emergenti dal dibattito in corso, non ha carisma punitivo per la magistratura e non conferisce un potere in più all’Esecutivo. E come chiarisce Augusto Barbera, ex Presidente della Corte Costituzionale, “è inutile girarci attorno, la riforma di cui stiamo parlando è liberale e divenuta ineluttabile dopo la cosiddetta riforma Vassalli che ha smantellato il vecchi codice di impronta autoritaria e introdurrebbe il sistema accusatorio”. Essa conferma il senso dell’articolo 111 della Costituzione: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo” ed “ogni processo si svolge in contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo e imparziale”.

I pilastri delle norme sottoposte al Referendum riguardano la separazione delle carriere dei magistrati giudicanti dai requirenti, l’istituzione di due distinti CSM e di una Corte disciplinare come citata nel quesito, le cui formazioni dovranno avvenire per sorteggio e non per elezioni.

Un cambio che in sostanza sottrae al gioco delle correnti togate politicanti pratiche che inficiano autorevolezza e credibilità all’esercizio della giurisdizione. Il sorteggio, in verità, è già in uso nell’ambito della stessa magistratura per l’organo che indaga sui presunti reati ministeriali ed è in vigore dal 1989 in ogni tribunale del capoluogo di distretto dove c’è un collegio estratto a sorte tra togati con almeno cinque anni di anzianità e qualifica superiore. È perciò mistificante tirare in ballo la filosofia pentastellata dell’uno vale l’altro e manifestare allarme per l’indipendenza delle Procure, a rischio di una possibile sottomissione alla volontà del Governo.

Ed è forviante agitarlo in pubblico dibattito, perché la riforma non cancella l’articolo 112 della Costituzione in cui si statuisce che “il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” e non tocca l’articolo 104: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Inoltre, va anche ricordato che la distinzione di ruolo del requirente dal giudicante vige nel mondo in ventiquattro Paesi retti da regimi democratici. L’Italia è l’eccezione! Perciò sono altrettanto fuorvianti le resistenze sindacali dell’ASM e strumentali nel dibattito politico sollevati dai contestatori. Mentre l’innovazione più significativa è la Corte che sottrae ai CSM l’azione disciplinare.

Se ne parla poco e se ne capisce il perché neutra rispetto alle correnti gestite dal sindacato della magistratura associata, pur essendo composta da 15 membri, di cui 9 togati. Immaginare che ci possa essere anche un giudice per requirenti e giudicanti non è una bestemmia, naturalmente laica, né lesa maestà. Ma, piuttosto, è un significativo valore di trasparenza! Il caso Palamara docet, espulso dall’ordine per avere disvelato combine togate con il mondo della politica, contravvenendo il monito di Piero Calamandrei: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”.

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