Omaggio ai giornalisti inviati di guerra
Ai giornalisti corrispondenti di guerra, di qualsiasi nazionalità, va la nostra solidarietà e apprezzamento. Le guerre -senza di loro, senza i rischi quotidiani che corrono- sarebbero mute e ignorate
Non è mai stato facile e mai lo sarà essere giornalista vero, soprattutto poi in zona di guerra. Ieri, la notissima giornalista della Rai Lucia Goracci, inviata del Tg3, in assoluto tra le più brave nelle diverse zone calde del pianeta, ha rischiato di brutto. La sua troupe è stata aggredita e inseguita in un villaggio a nord di Sidone, nel Sud del Libano. Nel corso di queste fase concitate l’autista della troupe, Ahmad Akil Hamzeh, si è accasciato a terra. Un attacco di cuore, di sicuro per lo spavento. E per il povero collaboratore, da anni al servizio della Rai, non c’è stato nulla da fare. In questi stessi giorni, la Russia di Putin vuole arrestare due giornalisti italiani della Rai. Stefania Battistini e l’operatore Simone Traini sono accusati di essere entrati illegalmente in territorio russo. In pratica, i due giornalisti hanno fatto il loro dovere di corrispondenti di guerra. Hanno cioè realizzato un reportage dalla regione di Kursk al seguito delle truppe ucraine. Verrebbe da ridere per questo mandato di arresto. Non è proprio il caso, però. I russi non hanno lo stesso metro di misura per quanto riguarda l’informazione. Anzi, in generale, la libertà in Russia è un lusso come lo era ai tempi sovietici. Ai giornalisti corrispondenti di guerra, di qualsiasi nazionalità, va la nostra solidarietà e apprezzamento. Le guerre -senza di loro, senza i rischi quotidiani che corrono- sarebbero mute e ignorate. Gli inviati di guerra sono i nostri occhi e le nostre orecchie. I loro racconti fanno luce sulle atrocità dei conflitti e impediscono efferatezze maggiori. Quando uno di loro ci rimette la vita, non li piangono solo i loro cari. A dolersi sono anche la democrazia, la libertà e la pace.