La vicenda Almasri e il cinismo della politica
Il governo Meloni, come accaduto in altre occasioni simili nei decenni passati, ha preferito non avere guai con la Libia. In particolare, di non mettere a rischio la cooperazione italo-libica nel contrasto all’immigrazione clandestina

L’arresto a Torino su richiesta della Corte penale internazionale dell’Aia, il rilascio e il rimpatrio con volo militare del generale libico Najeem Osema Almasri, capo della polizia giudiziaria di Tripoli, è la vicenda su cui da qualche giorno si concentra l’attenzione politica. E’ di certo un brutto pasticcio che coinvolge il governo Meloni. Questo non toglie che sia quantomeno strano che Almasri fosse in giro per l’Europa dai primi di gennaio, ma il mandato di cattura è stato firmato e trasmesso solo quando il generale libico è arrivato in Italia. Ad ogni modo, Almasri non è certo uno stinco di santo, tutt’altro. Il governo Meloni, come accaduto in altre occasioni simili nei decenni passati, ha preferito non avere guai, in questo caso con la Libia. In particolare, di non mettere a rischio la cooperazione italo-libica nel contrasto all’immigrazione clandestina. In altre parole, ha scelto di fare gli interessi nazionali per quanto disdicevole e contestabile possa essere questa decisione. L’opposizione fa legittimamente la sua parte, ovviamente. E fa bene. Sta di fatto, però, che la vicenda Almasri non rappresenta una priorità per il nostro Paese. Cinismo? Sì. Inutile negarlo. La politica internazionale e la diplomazia, però, sono spesso costrette ad operare nella più insensibile spregiudicatezza. E anche questo è inutile negarlo.