Fuga dal Mezzogiorno d’Italia
Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%) e, al netto dei rientri, i residente persi sono stati 1,1 milioni
Il Rapporto Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, presentato ad inizio di questa settimana, segnala una situazione di particolare difficoltà del nostro Meridione. I dati presentati sono tanti, ma per semplificare e dare il senso del disastro ci limitiamo a quelli relativi alla popolazione. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%) e, al netto dei rientri, i residenti persi sono stati 1,1 milioni. Le migrazioni verso il Centro-Nord interessano ovviamente soprattutto i più giovani. In poco meno di vent’anni hanno lasciato il Sud 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Una proiezione al 2080 porta il Mezzogiorno alla perdita di oltre 8 milioni di residenti. La popolazione che attualmente rappresenta il 33,8% di quella italiana, nel 2080 sarà solo del 25,8%. La fuga dalle regioni meridionali è il segno più tangibile di quanto sia alto il disagio. Per i giovani in particolare. Pochissime possibilità di lavoro. Scarse retribuzioni. Molto lavoro nero. Servizi carenti. Pubbliche amministrazioni scadenti. In breve, condizioni insostenibili. Il Mezzogiorno, con il suo sviluppo industriale e la sua crescita socio-economica, dovrebbe essere la priorità dell’agenda politica del Governo così come dell’opposizione. Purtroppo, non è affatto così. Si fa ancora troppo poco e la cattiva politica, che imperversa molto spesso nella realtà meridionali, fa il resto. Luca Bianchi, direttore della Svimez, nel ricordare che lo sviluppo è principalmente fatto di industria, ha fatto una battuta: «Un po’ meno b&b e più R&d; meno bed and breakfast, più ricerca e sviluppo». Questo per dire che il Mezzogiorno non può vivere soltanto di turismo, di sole e mare. E che per ora la corsa ai b&b è un ripiego non la soluzione.