scritto da Nino Maiorino - 15 Agosto 2023 07:08

Storiacce, la brutale morte di Re Carlo II d’Inghilterra

Qual è stata una delle morti più brutali?

Senza dubbio, quella di Carlo II d’Inghilterra che merita una menzione tra coloro che hanno subito “morti brutali”.

I medici contemporanei concordano sul fatto che probabilmente la causa della sua morte fu un’inevitabile insufficienza renale.

Ma ciò che rese brutale la sua morte fu lo stuolo di medici benintenzionati che cercarono di salvargli la vita utilizzando il know-how (credenze e superstizioni mal fondate) del XVII secolo.

Uno dei casi più notevoli nella storia del salasso ha riguardato il trattamento nel XVII secolo di Carlo II d’Inghilterra di Stuart.

Era nato il 29 maggio 1630, morì il 6 febbraio 1685, ed è stato uno dei sovrani inglesi più importanti.

Quando lo colse la malattia che poi lo portò alla morte, aveva 54 anni: il 2 febbraio 1685 venne colpito da un ictus.

Tutti i medici di corte, ovviamente, furono sottoposti a forti pressioni per salvargli la vita, e il sovrano sopportò un’agonia straziante in nome della medicina prima di morire, quattro giorni dopo, presumibilmente per un’emorragia cerebrale.

Il calvario era iniziato alle ore otto del mattino del 2 febbraio 1685.

Carlo stava per farsi la barba quotidiana quando improvvisamente emise un grido di dolore e scoppiò in convulsioni, molto probabilmente a causa dell’ictus che aveva prodotto una crisi cerebrale.

Fu chiamato un medico di nome Edmund King, allora ospite a Whitehall Palace, che applicò un “trattamento d’emergenza”, cioè fece uscire sedici once di sangue da una vena del braccio sinistro del re: un’oncia corrisponde a 28,35 grammi circa, Carlo II fu sottoposto ad un salasso, gli era stato tolto circa mezzo litro di sangue; si tenga conto che il prelievo di sangue per donazione oggi, corrisponde a circa 450 millilitri, ma poi per 90 giorni non si può più donare.

Frattanto alcuni messaggeri partirono al galoppo per andare a prendere il medico capo del re, Sir Charles Scarburgh.

“Sono accorso rapidamente in aiuto del re”, annotò Scarburgh nel suo diario, in cui descrisse dettagliatamente il trattamento al quale venne sottoposto Carlo II.

Dopo aver consultato sei colleghi, Scarburgh concluse che il re non stava meglio perché il primo medico aveva prelevato una quantità di sangue insufficiente.

Così Scarburgh ne prelevò altri otto etti con un metodo chiamato coppettazione, in cui la schiena del re veniva incisa in tre punti e tre cilindri a forma di bicchiere da vino venivano infiammati per espellere l’aria e poi usati come dispositivi di aspirazione per estrarre il sangue; una pratica seguita anche nel dopoguerra dello scorso secolo.

Quasi una tortura, tant’è che il re si agitò e questo “segno di buon auspicio” fu interpretato come un beneficio per l’estrazione di altri fluidi dal corpo.

Scarburgh lo fece con un “Emetico voluminoso” che induceva il vomito; consisteva in un velenoso tartrato di antimonio e potassio, usato anche come corrosivo caustico per tingere permanentemente i tessuti.

Il Re si agitò di nuovo e questa volta gli fu somministrato un clistere per estrarre ulteriori “umori maligni”.

Lo staff di medici si spazientì per la mancanza di progressi del re che era privo di sensi.

Carlo fu girato e gli fu somministrato un altro clistere, solo due ore dopo il primo; poi fu girato all’indietro e gli fu somministrato a forza un purgante orale.

Quando ancora non si riprendeva, i medici gli rasarono la testa e la cosparsero di cerotti vescicanti alla canfora e alla senape.

I cerotti contenevano Cantharis, un insetto detto anche la mosca spagnola, usato pure come afrodisiaco, che viene facilmente assorbito attraverso la pelle e irrita il tratto urinario, favorendo la minzione frequente e la perdita di altri liquidi corporei.

Il paziente, che fino a quel momento non aveva avvertito alcun dolore, riprese spontaneamente conoscenza.

I medici erano estasiati, i loro trattamenti avevano funzionato sicuramente il re ne avrebbe beneficiato di più; questo fu il ragionamento di Scarburgh quando somministrò un altro emetico per “tirare su” l’umore giallo (bile) e poi soffiò una polvere di Veratrum album, il rizoma velenoso del giglio bianco, nelle narici del re per provocare parossismi di starnuti per estrarre, ovviamente, l’ “umore flemmatico bianco” o muco.

Si potrebbe pensare che il re fosse ormai privo di umori liquidi, ma prima che gli fosse permesso di andare a dormire, prese il purgante più massiccio che avesse mai preso, per “tenere aperte le viscere durante la notte”: il che non poteva certo farlo riposare molto.

Tutte quelle terapie erano state somministrate nell’arco di dodici ore, Re Carlo era disidratato.

Il mattino seguente il Re non solo era vivo, ma addirittura vigile, anche se profondamente debole.

“La benedizione di Dio è stata approvata dall’applicazione di rimedi appropriati e opportuni”, ragionò Scarburgh, che tornò quel giorno accompagnato da undici medici consulenti.

Dopo aver esaminato Re Charles, decisero che avrebbe tratto beneficio da un’ulteriore emorragia, così gli aprirono entrambe le vene giugulari del collo per estrarre altre dieci once di “umori malati”.

Poi, per evitare un’altra crisi, gli diedero un dolce julep di “amarena, peonia, lavanda, perle schiacciate e zucchero bianco”, che il Re certamente apprezzò.

Ma il giovedì, terzo giorno di calvario, il re ebbe altre crisi.

Gli fu praticato un ulteriore salasso, poi gli fu somministrata una bozza ricavata dal cranio polverizzato di un “uomo innocente” che aveva incontrato una morte violenta.

Il trattamento sapeva di omeopatia, in quanto “quaranta gocce di estratto di cranio umano furono somministrate per placare le convulsioni”, come scrisse Scarburgh, tentando così di curare un sintomo con una sostanza “simile”; Re Charles ebbe un sonno agitato, ma non ebbe più crisi.

Il giorno successivo, esausto, disidratato e in preda a forti dolori, il Re fu sottoposto a ulteriori trattamenti, rigurgitato, girato sullo stomaco per un altro clistere e poi gli fu somministrata la miracolosa corteccia dei gesuiti: si trattava di un preparato molto richiesto all’epoca, fortemente addizionato di chinino; il suo principale sostenitore negli anni Trenta del XVI secolo era la Compagnia di Gesù, i Gesuiti.

All’epoca i Gesuiti, con ministeri in tutto il mondo, erano chiamati a curare le epidemie di malaria e avevano scoperto che il chinino alleviava la febbre malarica, un rimedio che incoraggiavano i medici a rendere un trattamento di routine.

L’associazione con un ordine religioso gli conferiva un’aura miracolosa, ma non era adatto alle condizioni di Re Carlo e con il chinino tossico il re peggiorò gravemente.

La falange di medici reali rimase mortificata.

Il venerdì Scarburgh scrisse: “Ahimè! Dopo una notte sfortunata le forze di Sua Maestà Serenissima sembrano esaurite a tal punto che l’intera assemblea dei medici perse ogni speranza e si avvilì”.

Anche se non sconfitti, non potevano lasciar morire un re, e per questo Re Carlo fu dissanguato quasi completamente e, se ciò non bastasse a dimostrare la disperazione dei medici, gli fu somministrato un “antidoto che conteneva estratti di tutte le erbe e gli animali del regno”.

Lo speziale era esaurito.

Re Carlo, non riusciva a reggere la testa o a inghiottire altra bozza, così una fu, come ha scritto Scarburgh, “infilata a forza nella gola del re” ormai alla fine.

Il re rimase senza fiato; ancora una volta fu dissanguato.

Alle otto e mezza di sabato mattina la sua parola vacillava e veniva meno; alle dieci era misericordiosamente in coma.

A mezzogiorno Re Carlo finalmente morì.

La sua fine testimoniò la resistenza del corpo umano, ma anche l’incredibile ossessione del gruppo dei medici che tentò di salvarlo con pratiche che oggi vengono definite “accanimento terapeutico”, ma che nel caso specifico ammazzarono il sovrano.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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