scritto da Nino Maiorino - 20 Maggio 2020 11:28

Sequestri a caro prezzo – Parte seconda

In sedici anni abbiamo speso 80 milioni di euro

Riprendiamo l’argomento la cui prima parte è stata pubblicata il 17 maggio scorso, ma preliminarmente vogliamo precisare che mai come in questo caso non abbiamo puntato il dito contro nessuno, ci siamo limitati solo a ricordare i sequestri avvenuti negli ultimi sedici anni e i il prezzo pagato, in termini di quattrini e di vite umane, per la liberazione delle vittime. Abbiamo fatto, quindi, solo il nostro mestiere di cronisti.

Francesco Azzarà, volontario di Emergency, venne sequestrato il 1° agosto 2011 a Darfur, e rimase nelle mani dei sequestratori fino al 16 dicembre. Non risulta da nessuna evidenza, pubblica o riservata, che sia stato pagato un riscatto, ma la dichiarazione ufficiale che non fosse stato pagato nulla fece pensare proprio il contrario.

Nel novembre del 2011 venne sequestrata la nave mercantile “Rosalia D’Amato” al largo delle coste dell’Oman, al sud degli Emirati Arabi Uniti, nel mare di Arabia, Oceano Indiano, con a bordo sei italiani e sedici filippini, liberata il mese successivo. Sia il nostro governo, sia il comandante della nave negarono il pagamento del riscatto, ma fonti riservate sostennero il contrario.

Nello stesso mese di dicembre 2011, venne pure liberata la petroliera italiana “Savina Caylyn” rimasta per circa 10 mesi nelle mani dei pirati somali con 5 uomini dell’equipaggio a bordo. I pirati, nonostante le smentite della Farnesina, dichiararono che l’Italia aveva pagato 11,5 milioni di euro in due rate.

Nel 2014 vennero sequestrati in Libia due tecnici italiani: Gianluca Salviato, veneziano, preso il 22 marzo, e Marco Vallisa, piacentino, scomparso il 5 luglio 2014, che fu sequestrato unitamente a due suoi colleghi, il bosniaco Petar Matic e il macedone Emilio Gafuri

Vennero tutti liberati nel mese di novembre e per i due italiani fu pagato un riscatto di 2.milioni di euro.

Invece, per il riscatto del giornalista Domenico Quirico, inviato della Stampa, sequestrato in Siria il 9 aprile 2016 e liberato dopo circa sei mesi, fu pagato un riscatto di 3.milioni di euro; quel sequestro ebbe una particolarità perché unitamente a Quirico venne rapito anche il docente Belga Pierre Piccinin.

Il pagamento del riscatto venne rivelato dallo stesso negoziatore, identificato dalla rivista americana “Foreygn Policy” in un servizio intitolato “The Italian Job”; nell’articolo venne riportata la testimonianza di Motaz Shablan, membro della Coalizione nazionale siriana a Istanbul. “Ho visto i soldi con i miei occhi, ed ero presente quando sono stati consegnati ai rapitori”, disse Shaklab.

Nessuno smentì, nemmeno il nostro governo.

Il 4 marzo del 2016 furono liberati in Libia Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, due tecnici della ditta “Bonatti” di Parma: erano invece stati uccisi durante il sequestro, avvenuto nel luglio dell’anno precedente, i due loro colleghi Fausto Paino e Salvatore Failla. In quel caso l’allora presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, disse: “Ho sentito del pagamento di un riscatto … in mani sbagliate. Dico solo che delle modalità di risoluzione di un sequestro come questo il Comitato che presiedo viene informato e può acquisire tutta la documentazione in merito. Per questo posso dire che non mi risulta che ci sia stata una scelta di questo tipo”. Una dichiarazione estremamente ambigua che non fa capire nulla.

A contribuire al sequestro potrebbe essere stato l’autista della società per la quale i tecnici lavoravano, come dichiarò Dennis Morson, responsabile in Libia della logistica dell’azienda.

I quattro sequestrati, infatti, sarebbero stati indotti a trasferirsi da una città all’altra in auto anziché via mare, come in genere  avveniva, e non si esclude che vi siano stati altri complici.

Incerto il pagamento del riscatto per il rilascio del 34.enne bresciano Alessandro Sandrini, anch’egli rapito nell’ottobre del 2016 al confine fra Turchia e Siria e rilasciato nel maggio del 2019. Storia controversa in quanto il Sandrini era ricercato in Italia per alcuni reati contro il patrimonio e probabilmente era scappato in Turchia incappando nel sequestro, tant’è che, al suo ritorno in Italia, venne immediatamente arrestato. Non si è mai saputo nulla di un eventuale riscatto.

Nell’aprile 2019 venne liberato, dopo tre anni di prigionia, l’imprenditore Sergio Zanotti; durante un viaggio in Turchia era stato rapito in Siria nell’aprile 2016. A fronte del solito ritornello sul non pagamento del riscatto, lo stesso Zanotti ebbe a dichiarare “Se non fosse stato pagato un riscatto non sarei qui”.

Penultimo della serie, prima di quello della Romano, è il sequestro dell’architetto trentunenne romano Luca Tacchetto, e della sua compagna canadese Edith Blais, sequestrati in Burkina Faso il 16 dicembre 2018 e liberati in Mali a marzo di quest’anno. Per essi è probabile che veramente non sia stato pagato alcun riscatto e non ci siano state trattative per il rilascio in quanto hanno dichiarato di esseri liberati da soli approfittando di una distrazione dei loro carcerieri.

Ultimo, in ordine temporale di rilascio, è proprio quello della milanese Silvia Romano, della quale si è parlato già molto.

Esaminando questo breve excursus, è palese che in Africa le zone a più alto rischio sono in maggioranza nell’Africa centrale, Yemen, Oman, Etiopia, Uganda, Kenya e Somalia; questi ultimi due paesi sono confinanti, e sapendo come vanno lì le cose, è estremamente facile che bande di sequestratori che agiscono in quell’area cambino continuamente i covi, spostandosi da un paese all’altro, e non è ipotizzabile alcun controllo da parte delle forze di polizia locali, pressoché inesistenti, spesso complici, o da parte di osservatori internazionali.

Ecco il motivo per cui è impensabile che persone dotate di un minimo di buon senso decidano di andare lì esponendosi al rischio di essere sequestrate.

Una ultima doverosa considerazione riguarda la efficienza dei nostri Servizi segreti, che vengono considerati allo stesso livello di quelli israeliani, considerati fra i migliori del mondo, e i nostri uomini sono ben accetti ovunque.

Nella valutazione internazionale sembra che i meno graditi siano i Servizi Statunitensi e Inglesi in quanto agiscono, nella maggioranza dei casi, in modo arrogante ritenendosi superiori a tutti; ed anche questo è uno dei motivi per i quali pure le forze militari Usa e Inglesi godono all’estero di scarso gradimento, al contrario delle forze armate italiane che sono benvolute nel mondo intero.

Una considerazione finale è degna di essere fatta su quanto ha recentemente dichiarato Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto, per la liberazione della quale perse la vita Nicola Calipari: ne abbiamo parlato nella prima parte di questo articolo.

La Sgrena ha confessato recentemente che nella sua vita professionale aveva sempre considerato le nostre forze armate e i servizi di polizia nemici del popolo (è questa la linea del giornale), ma in seguito alla sua esperienza personale aveva cambiato del tutto le sue convinzioni, riconoscendo che esse erano totalmente sbagliate.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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