Strage di Via D’Amelio, l’enigma di una verità depistata
Ci sono voluti due decenni ed il cambio di guardia alla Procura del Tribunale di Caltanissetta per avere in sentenza (processo Borsellino quater) una narrazione, vera e non fasulla, e condanne
Dopo trentatré anni dal 19 luglio 1992, giorno del martirio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti di scorta Antonino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina, prevalga la voce degli innocenti sulla ritualità dei cerimoniali dei Palazzi e dei talk-show mediatici e di piazza.
Dopo lunghe attese e fraintendimenti escano dalle tenebre coloro che sanno; tacciano le labbra delle menzogne e, liberate dal ricatto degli empi, parlino! Un sole splendente dall’alto illumini le loro coscienze sulla via della verità e della giustizia. Perché, nel pianeta della terra dei giusti la luce è la ragione di vita degli onesti. E così è stato e sia per sempre, nonostante le ambiguità di investigatori e toghe che hanno avallato depistaggi sulle responsabilità di un evento di cui si conoscono gli esecutori materiali, reo confessi, e si brancoli sulle ipotesi dei presunti mandanti esterni a “Cosa Nostra”.
Ci sono voluti due decenni ed il cambio di guardia alla Procura del Tribunale di Caltanissetta per avere in sentenza (processo Borsellino quater) una narrazione, vera e non fasulla, e condanne per Gaspare Spatuzza e suoi complici nell’allestimento dell’autobomba fatta brillare, alle 16,58, in Via D’Amelio, ed un trentennio per incardinare nuove indagini a caccia della “Agenda rossa” su cui Borsellino soleva trascrivere non tanto appuntamenti quanto appunti su materie da soppesare, valutare e ruoli di persone da interrogare.
Perciò, resta l’enigma della costruzione di investigazioni fuorvianti e del conseguente processo con sentenza di condanna all’ergastolo di un falso pentito “indottrinato”, Vincenzo Scarantino, e poi scagionato a seguito delle rivelazioni di Spatuzza.
Chi ha depistato e chi è stato ingannato? Si tratta di un corto circuito, poco lumeggiato, tra operatori degli apparati di Stato, dei servizi di polizia e del mondo togato di cui facevano parte, rispettivamente, Arnaldo La Barbera, capo della Squadra Mobile di Palermo, Giovanni Tinebra, Procuratore capo del Tribunale di Caltanissetta, entrambi morti, e la sequenza di PM e Giudici che hanno avallato e sentenziato verità depistate.
La Commissione parlamentare antimafia, attualmente in carica, presieduta da Chiara Colosimo, ha promesso di rileggere le carte consapevolmente ignorate. Ed in parallelo c’è anche chi prospetta approcci su piste politicanti di alleanze mafiose con il marchio di logge massoniche deviate e prefigurate a tinte nere. Ma, permanendo il mistero di una verità sospesa, manca una chiave di lettura a monte del tragico evento, il cui tema riguarda un approfondimento sui turbamenti e le confessioni di Paolo Borsellino rese, poche ore prima della sua uccisione, alla moglie, e che dopo la strage di Capaci chiama in causa chi nei Palazzi, per dovere d’ufficio ed istituzionale, poteva e doveva salvaguardare la sua vita.
Per chi suonerebbe la campana? Ma, se la faranno suonare!







