scritto da Eugenio Ciancimino - 21 Ottobre 2025 11:30

Stampa, l’attentato a Ranucci ed i fantasmi politicanti di Schlein

Sul punto Sigfrido Ranucci, ospite della trasmissione “in Onda” di Rai3, ha detto di non credere che l’attentato da lui subito sia stato opera “di mandanti politici, ma un’azione della criminalità”, smentendo il teorema di quanti adombrano un clima politico sulle responsabilità dell’evento intimidatorio

SIgfrido Ranucci (foto tratta dal profilo Fb)

Dire che in Italia non c’è libertà di stampa o è un’opinione di un obnubilato o è un polemico escamotage politicante.

Basta scorrere la pluralità di canali televisivi, le sequenze di post sui sociali ed i pensieri critici espressi sui media della carta stampata per rendersene conto. Minacce ed uccisioni di giornalisti, fino a prova contraria, hanno avuto matrici da ambienti malavitosi, a partire, a mia memoria, dall’attentato dinamitardo contro la sede del Quotidiano “L’ORA” di Palermo, consumato nel 1958, impegnato in una inchiesta sulle famiglie mafiose operative nel contesto palermitano, prima ancora che la magistratura ne prendesse coscienza, configurata trent’anni dopo dal pool costituito da Rocco Chinnici con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Perciò, vista nell’attualità, appare surreale l’enfatizzazione accreditata da testate di “prestigio” alle esternazioni di Elly Schlein, rese in un consesso internazionale su rischio liberticida e derive autoritarie laddove “governano le destre”. Alle quali la Premier Giorgia Meloni ha reagito con un puntuto e laconico comunicato: “vergognati”.

Sul punto Sigfrido Ranucci, ospite della trasmissione “in Onda” di Rai3, ha detto di non credere che l’attentato da lui subito sia stato opera “di mandanti politici, ma un’azione della criminalità”, smentendo il teorema di quanti adombrano un clima politico sulle responsabilità dell’evento intimidatorio. Ed infatti una delle piste investigative smentisce i politicanti e conduce al boss della mafia albanese Altin Sinomati arrestato ad Abu Dhabi, ritenuto mandante di un omicidio consumato il 20 settembre del 2020 sulla spiaggia di Torvaianica.

Altra cosa è la questione sulla legislazione relativa alla diffamazione a mezzo stampa, fonte di querele temerarie, attivate prevalentemente da ambienti politici, che di fatto sono condizionanti nel rendere resoconti di vicende giudiziarie. Qui si entra in un campo minato tra il diritto/dovere di informazione (art. 21 della Costituzione) e l’attuazione delle disposizioni della Convenzione per i diritti dell’uomo di Strasburgo che prevede il divieto di pubblicazione integrale o per estratto delle ordinanze cautelari della persona indagata finché non siano concluse le indagini preliminari.

Il che non vuol dire “bavaglio”, ma rimando al vaglio del GIP.

Il problema riguarda la depenalizzazione del reato di diffamazione, oneroso anche in termini civilistici, su cui, in verità, è intervenuta la Consulta, a proposito della cancellazione del carcere, dichiarando con una decisione del 22 luglio 2021 la illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge sulla stampa del 1948 e dell’art. 30, comma 4, della legge 4 agosto 1990 sul sistema televisivo.

Nel passaggio dal giudiziario al politico cambia il paradigma della narrazione che, viceversa, incrocia ed investe scelte editoriali e rapporti ideologici interni alle redazioni di ciascuna testata, condizionanti ed elevati ad alibi di tipo politico o di contestazione del colore dei partiti e loro coalizioni al timone del Governo del Paese. Va bene l’insegnamento di Indro Montanelli di “girare il coltello” negli anfratti del potere, ma non va bene condividere la metafora Mark Twain “il giornalista sa distinguere il vero ed il falso e pubblica il falso”. Così si alimenta la fabbrica dei mostri e dei fantasmi! Spesso politicamente vestiti ed orchestrati.

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