Brunetta fa dietrofront
Dopo le critiche di Meloni e della Lega, il presidente del Cnel revoca l’aumento del proprio stipendio a 310 mila euro annui, deciso in base alla sentenza della Consulta
Irritazione a Palazzo Chigi per la decisione del presidente del Cnel, Renato Brunetta, di aumentare il proprio stipendio applicando la sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito il tetto dei 240 mila euro per i dirigenti pubblici. Il nuovo compenso sarebbe salito a 310 mila euro l’anno, scelta giudicata “inopportuna” dalla premier Giorgia Meloni. Critiche anche dalla Lega, che ha annunciato un’interrogazione e una norma in Finanziaria per limitarli. In serata Brunetta ha fatto marcia indietro. Con una nota ufficiale, ha comunicato la revoca dell’aumento «per evitare strumentalizzazioni» e tutelare il prestigio del Cnel. È inutile negarlo: è stata una vicenda sgradevole. La decisione della Corte Costituzionale di abolire il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici appare discutibile. Incrina un principio di sobrietà che dovrebbe essere naturale per chi serve lo Stato. Ancora meno comprensibile è stata la scelta di Brunetta di adeguare il proprio compenso, proprio in un momento in cui il Paese affronta difficoltà economiche e si chiedono sacrifici a cittadini e imprese. Il successivo passo indietro, arrivato solo dopo la disapprovazione di Palazzo Chigi, non ha migliorato l’immagine della vicenda. Al contrario, ha confermato che quell’aumento mancava di opportunità e di buon senso istituzionale. Un episodio che si sarebbe potuto evitare, nel rispetto delle istituzioni e della fiducia dei cittadini.





