scritto da Rosa Montoro - 26 Novembre 2025 07:55

LIBRI & LIBRI La vegetariana

Nessuno di noi immagina quando la propria salute dipende dagli altri e quando la salute mentale e fisica siano la stessa cosa

Han Kang, premio Nobel 2024, scrittrice sud coreana, figlia di un altro scrittore molto noto in Corea del Sud, Han Sung-won. La vegetariana è il suo romanzo più noto da cui sono stati tratte un pièce teatrale e un film nel 2009.

Il racconto si svolge in tre parti, ognuna delle quali racconta visioni e versione diverse della stessa storia, la protagonista è sempre lei: Yeong-hie, una donna, che a un certo punto della sua vita decide di non alimentarsi di altri esseri viventi.

La storia inizia con il racconto del marito, che ci introduce nella vita di una coppia normale, apparentemente saldo come pezzi di puzzle, un disegno perfetto all’esterno dove nessuno vede il faticoso incastro, le ferite. Il narratore marito si confessa senza indugi, a tratti brutale. Ha scelto questa donna, come moglie, senza alcuna passione, ma soltanto per la sua remissività e silenzio, doti che si saldano bene con l’idea di normalità che ha della sua vita.

È bastato, però, un soffio di vento a far volare via tutti i pezzi, per scoprire altro, sotto quel del puzzle. Quel che gli appare è una perfetta estranea. Una donna che non avrebbe mai potuto amare e soprattutto accettare. Così a poco a poco deve risistemare la normalità, cacciarla dalla sua vita, collocare fuori, in quel contenitore che definisce follia.

“Tutto intorno a lei, il pavimento della cucina Era ricoperto di sacchetti di plastica e contenitori a chiusura ermetica… carne … Mia moglie stava mettendo le cose attorno a sé uno alla volta, dentro sacchi della spazzatura neri punto alla fine persi le staffe…

<Ma sei matta? Perché diavolo stai buttando tutta questa roba?>

<Ho fatto un sogno! >” (Han Kang – LA VEGETARIANA – Adelfi  2016 – p. 19).

 

Yeong-hie ha scoperto dove vive e se ne vergogna. Il suo mondo è pieno di morte e lei si nutre di questa morte. La sua scelta di non mangiare più altri esseri viventi non è un capriccio è una difesa, l’estremo tentativo di ritrovare un equilibrio interiore, frantumato da qualche tempo. Ma nessuno si accorge di quello che sta succedendo e le sue scelte sono solo intoppi per gli altri, per la loro vita normale. Il sogno avvia la strategia di difesa.

“… Ho paura. E freddo… Cerco di passare oltre la carne… Non c’è fine alla carne, e nessuno via di uscita. Ho del sangue in bocca, i vestiti intrisi di sangue appiccicati alla pelle… Non so come, riesco a uscire. Corro, corro per la valle e poi all’improvviso appare la foresta. Alberi pieni di foglie, la luce verde della primavera, famiglie fanno il picnic, bambini scorzano in giro, quel profumo delizioso… Ma ho paura. I miei vestiti sono ancora pieni di sangue. Nasconditi, nasconditi…” (op.cit. p.20)

I segnali, anche fisici, sono interpretati come bizzarrie di Yeong-hie, non vuole più indossare il reggiseno, per esempio, perché si sente soffocare. Invece è il segnale di quel disequilibrio, soprattutto per la cultura orientale, è il rifiuto della morte che la possiede, che cancella ogni desiderio del corpo che lo anima. Nella cultura orientale nel corpo ci sono punti di reazione emotiva che influenza il suo benessere, si chiamano chakra. Il chakra più importante è definito plesso solare ed è situato sotto il diaframma, ha la forma di un sole con i nervi che si diramano come raggi e controllano tutti gli organi interni, è fondamentale per il funzionamento sistema parasimpatico, oltre a controllare il nervo vago.

Di recente anche la medicina occidentale ha scoperto l’importanza di questo nervo e che mantiene l’equilibrio degli organi interni, si è arrivati a un ipotizzare che superi l’importanza del nostro cervello, insieme alla funzionalità dell’intestino.

Nella medicina occidentale quello che continua a mantenerci lontano da questi concetti è la separazione platonica tra corpo e anima. Separazione che domina lo studio della medicina e tratta il corpo come un oggetto di studio. Mente e corpo sono sostanze di questo equilibrio, non basta la funzionalità perfetta, c’è qualcosa che deve succedere nel nostro corpo, si chiama vita. Equilibrio non è uguale al nostro concetto di normalità, ognuno di noi deve trovarlo. percorrendo tutte le strade anche quelle annomali, come la follia. E in questa direzione la follia è salute, è cercarsi, senza paura o vergogna. Questo percorso dentro l’insicurezza fa parte di noi e ci rende unici e irripetibili, ci traghetta verso la nostra normalità.

 

“Il mio polso non ha niente, non mi da nessun fastidio. Quello che mi fa male è il petto. Qualcosa si è bloccato all’altezza del plesso solare. Non so che cosa può essere. Adesso si è perennemente conficcato lì. Lo sento sempre, anche se ho smesso di portare il reggiseno e, per quanto faccia respiri profondi, non vuole andarsene.” (op.cit. p 54)

Nella seconda parte a raccontare la storia e il cognato innamorato di Yeong-hie, è una visione drammatica che ci dice molto sulla verità e sull’amore, in modo così poetico che a tratti ho pianto di commozione. È il punto di vista di un uomo che cerca di materializzare, nel suo corpo e in quello della sua amata, la bellezza pura. È il tentativo di sentirsi vivo, di avvicinarsi e realizzare i propri desideri. Ma i nostri desideri diventano visibili se il mondo dove viviamo non li censura, se li ritiene normali. Ecco perché la malattia, per i due protagonisti. diventa la loro salute.

Era perfetto. Era esattamente come nei suoi schizzi… Tremò per la natura terrificante della loro unione, una fusione di immagini che erano in qualche modo repellenti, eppure irresistibilmente bella. … Per sempre, pensò senza fiato, tutto per sempre, mentre un insostenibile senso di sazietà scuoteva il suo corpo e lei scoppiava in lacrime“. (op.cit. p. 114)

La terza parte è il racconto della sorella, Kim In- hye, è la visione di una normale, nel cuore della quale si è insinuato il dubbio. In- hye ama la sorella Yeong-hie ed è l’unica, a modo suo, a restarle vicina.

Sin da bambina In- hye aveva posseduto quella innata forza di carattere necessaria a farsi strada nella vita, come figlia, come sorella maggiore, come moglie e come madre, come proprietario di un negozio, persino come passeggera in metropolitana nel più breve dei tragitti, aveva sempre fatto nel suo meglio.” (op.cit. p. 138)

Nessuno di noi immagina quando la propria salute dipende dagli altri e quando la salute mentale e fisica siano la stessa cosa. Il dualismo platonico è stato superato da Freud negli studi sull’isterismo: Io sono il mio corpo, l’anima e il corpo sono in continuità, il corpo dice, l’anima è quel che è: vita.

“… Le vite di tutte le persone attorno a lei erano crollate come castelli di carta. Davvero non c’era nient’altro che avrebbe potuto fare?” (op.cit. p. 136)

La vegetariana è un libro che entra come una lama e fa a pezzi le nostre convinzioni, certezze e sicurezze, ma non basta, pretende di ricomporle, mostrandoci una verità insopportabile: la capacità di sopravvivere alla paura di morire. La vegetariana, malata ha fatto del dolore la sua strada, la percorre tutta e non ne ha più paura. La sorella normale resta con le sue paure, consapevole delle bugie che si racconta ogni giorno.

Rosa Montoro è nata a Sarno e vive a Cava de’ Tirreni, laureata in Sociologia lavora in un ente pubblico, è sposata e ha due figlie. Ha ricevuto vari premi per la poesia, nel 2017 ha pubblicato "La voce di mia madre", una raccolta di poesie inserita nel catalogo online “Il mio libro” – Gruppo editoriale Espresso. Per la narrativa è stata premiata nel 1997 per il racconto "Il cielo di Luigino" pubblicato nel testo collettaneo “Nuovi narratori campani” dell’editore Guida di Napoli. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2000 il romanzo breve "Il silenzio della terra" premiato nel 2001 al Concorso Europeo di narrativa “Storie di Donne” FENAL circoli europei liberi, secondo premio. Infine, "Il Circolo degli illusi", edito da Oedipus - 2018.

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