Delitto Borsellino, insulti e pezze a colori
Pervenire ad una verità storica, dopo 33 anni dalla strage di Via D’Amelio, è “un debito non solo nei confronti della famiglia Borsellino ma dell’intero Paese”
Gli insulti alla famiglia di Paolo Borsellino rivelati dalla intercettazione di una conversazione di ex magistrati operanti nel Palazzo di Giustizia di Palermo o sono semplici risentimenti (pregressi o correnti?) o celano anche un disegno politicante.
Si potrebbe trattare dello sfogo incontrollato di un indagato per favoreggiamento, Gioacchino Natoli, e della resistenza di Roberto Scarpinato contrario alla rilettura di carte concernenti depistaggi o distorsioni processuali. Entrambi protagonisti della citata conversazione configurabile in una combine smentita dalle scuse rese dall’uno e spiegata dell’altro come una sorta di “chiacchierate” tra ex colleghi in cerca “solo di capire chi fosse il traditore di Borsellino”.
Lodevole preoccupazione che però non si concilia con l’intento manifestato in conversazione da Scarpinato di “seppellire sotto una montagna di documenti” Chiara Colosimo (FdI), Presidente della Commissione parlamentare antimafia, di cui egli è componente come rappresentante 5S. Perché, a suo dire “non possiamo consentire che l’Avvocato (Fabio) Trizzino (ri)leggesse le carte”.
E qui si potrebbe intravedere un abbozzo politicante, perché i citati documenti glieli avrebbe dovuto fornire Natoli nel corso della sua audizione da inscenare in Commissione antimafia con domande e risposte prefabbricate. Le citate carte riguardano il dossier “mafia/appalti/politica” acclarato in sentenze come motivo di accelerazione della tragica morte di Paolo Borsellino.
Sul punto Scarpinato ha sempre dichiarato che si tratterebbe di una “concausa”, mancando “le causali politiche, che se rivelate avrebbero destabilizzato il sistema”. Di quali poteri forti? Ipotesi rispettabile, ma carente di elementi scrivibili su pietre vive. Farneticante fino a prova contraria, mai esplicitata! A meno che non voglia sollevare un contenzioso politico rispetto alla sua presenza conflittuale in Commissione antimafia.
Per lui Borsellino (ingenuo?) “fu travolto da un gioco” e sarebbe “riduttivo” configurare il suo sacrificio per una semplice inchiesta su appalti. Sarebbe veramente una “diminutio” fino a quando non si conosce il contenuto del relativo dossier nel quale fossero attori figure del mondo togato, delle istituzioni politiche e dell’alta finanza. E se questo è il senso delle audizioni incardinate dalla Presidenza della Commissione antimafia, perché se ne contrasta la gestione? Pervenire ad una verità storica, dopo 33 anni dalla strage di Via D’Amelio, è “un debito non solo nei confronti della famiglia Borsellino ma dell’intero Paese”.
Il tenore della conversazione intercettata cela più timori che veleni. Se ne raccoglie il senso nei verbali della riunione svoltasi nella Procura di Palermo il 14 luglio 1992 in cui Paolo Borsellino ha sollevato la necessità di nuovi sviluppi sull’inchiesta “mafia/politica/appalti”, connettibili con “mani pulite” e giochi in Borsa, cui aveva lavorato già Giovanni Falcone, e gli fu risposto: “Caro Paolo, abbiamo chiesto l’archiviazione, ma vedremo, se è possibile, il caso di acquisirlo”.
Non ci fu il tempo per riparlarne in una nuova riunione perché cinque giorni dopo la sua voce fu messa a tacere per sempre. E l’archiviazione fu decretata tre giorni dopo. A quella riunione in Procura sono riferibili le parole intercorse tra Natoli e Scarpinato nella conversazione intercettata. Perciò, le loro smentite hanno il crisma più di pezze a colori che di sincerità. Chi sa parli! “Ca’ ‘a verità nun se pazzèa”, come recita un antico e saggio detto partenopeo.







