Napoli, al via il restauro del San Ludovico da Tolosa di Simone Martini: Capodimonte e l’Opificio delle Pietre Dure insieme per un cantiere epocale
Quello del San Ludovico da Tolosa di Simone Martini può definirsi senza dubbio un restauro epocale, sia per l'importanza dell'opera, il cui splendore affascina da sempre visitatori di Capodimonte, che per il suo significato nella storia della città, in particolare quella della fiorente Napoli angioina con la sua corte di mecenati nel cuore del Mediterraneo - dichiara Eike Schmidt, Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte - Con emozione ricordiamo che nel 1966 fu Raffaello Causa a spostare l'ultima volta la grande pala dal muro per porla nella posizione attuale
Dopo oltre sessantacinque anni dall’ultimo intervento, torna sotto le cure dei restauratori uno dei massimi capolavori medievali custoditi al Museo e Real Bosco di Capodimonte: la grande pala del San Ludovico da Tolosa che incorona Roberto d’Angiò di Simone Martini, opera simbolo della Napoli angioina e pietra miliare della pittura trecentesca.
L’intervento, che si svolgerà direttamente nella sala 66 del museo dove la pala è esposta dal 1966, inaugura la prima collaborazione quadro tra Capodimonte, guidato da Eike Schmidt, e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, centro d’eccellenza internazionale nel restauro. La formula scelta è quella del cantiere didattico, visibile al pubblico, che permetterà ai visitatori di seguire da vicino le delicate fasi del lavoro. La conclusione è prevista entro sei mesi.
“Quello del San Ludovico da Tolosa può definirsi un restauro epocale – sottolinea Schmidt – sia per l’importanza dell’opera, che affascina da sempre i visitatori di Capodimonte, sia per il suo significato nella storia della città, legato alla fiorente corte angioina. È emozionante ricordare che l’ultima volta la pala fu spostata nel 1966 da Raffaello Causa per collocarla nell’attuale posizione”.
L’intervento di restauro
Il progetto si concentrerà soprattutto sulla struttura lignea del dipinto, compromessa dal tempo e dai movimenti naturali del supporto. Saranno chiuse le fessurazioni e le sconnessioni, ricostruite piccole mancanze nella predella e fissata la decorazione a gigli sul retro. Successivamente, i restauratori interverranno sulla superficie pittorica, consolidando le zone più fragili e ricomponendo le parti danneggiate.
I lavori vedono impegnati per Capodimonte la curatrice Alessandra Rullo con i restauratori Alessia Zaccaria, Sara Vitulli e Loris Panzavecchia, mentre per l’Opificio operano il soprintendente Emanuele Daffra, la direttrice del settore dipinti Sandra Rossi e i restauratori Luciano Ricciardi, Ciro Castelli e Andrea Santacesaria.
Un capolavoro tra arte e politica
Dipinta intorno al 1317, subito dopo la canonizzazione di Ludovico d’Angiò, la tavola è un documento prezioso tanto sul piano artistico quanto su quello storico-politico. Figlio di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria, Ludovico rinunciò al trono per abbracciare l’ordine francescano, morendo giovanissimo nel 1297. La sua santità, riconosciuta ufficialmente vent’anni dopo, divenne subito un potente strumento di legittimazione per il fratello Roberto, che regnava a Napoli.
Nella pala monumentale – alta oltre tre metri e originariamente arricchita da gemme e dorature – Ludovico è raffigurato in trono, vestito con il saio francescano e i paramenti vescovili. Due angeli lo incoronano, mentre egli stesso pone la corona sul capo del fratello Roberto, in un simbolico passaggio di potere benedetto dal cielo. Ai piedi, nella predella, compaiono episodi della vita del santo e la firma del pittore: Symon de Senis me pinxit.
L’opera, che si trovava in origine con ogni probabilità nella chiesa francescana di San Lorenzo Maggiore, entrò nelle collezioni statali nel 1921 e fu trasferita a Capodimonte nel 1957.
Il segno di Simone Martini
Considerata uno dei vertici della prima produzione di Simone Martini, la pala rivela la padronanza del maestro senese nella pittura a tempera su tavola e la sua capacità di fondere raffinate tecniche di decorazione, derivate anche dalla scultura e dall’oreficeria. La cornice blu brillante disseminata di gigli d’oro, simbolo della dinastia capetingia, e lo stemma del Regno di Gerusalemme sul piviale di Ludovico sottolineano la volontà degli Angioini di affermare il proprio prestigio dinastico e politico attraverso l’arte.
Un restauro che è anche un racconto
L’apertura del cantiere al pubblico rende l’intervento non solo un’operazione scientifica, ma anche un’esperienza culturale. I visitatori potranno osservare da vicino i gesti e le tecniche dei restauratori, seguendo passo dopo passo il ritorno allo splendore originario di un’opera che da secoli incarna il dialogo tra fede, potere e arte.
Con questo progetto Capodimonte rinnova la sua missione di museo-laboratorio, in cui la tutela del patrimonio diventa occasione di conoscenza e condivisione. Un ponte tra passato e presente, nel segno di Simone Martini e della Napoli angioina.







