Il ritorno del caso Almasri
L’arresto a Tripoli del generale libico Osama Almasri riaccende lo scontro politico in Italia. L’uomo era stato fermato a Torino e poi rimpatriato dal governo Meloni, suscitando accuse di cedimento alla Libia e di violazione degli obblighi verso la Corte penale internazionale
L’arresto in Libia di Osama Almasri, ex comandante del centro di detenzione di Mitiga accusato di crimini contro l’umanità, riporta al centro del dibattito politico italiano la decisione del governo Meloni di rimpatriarlo lo scorso gennaio dopo il suo fermo a Torino. All’epoca la mancata convalida dell’arresto e la successiva espulsione del libico, ricercato dalla Corte penale internazionale, avevano suscitato forti polemiche. L’opposizione parla oggi di “umiliazione per l’Italia”, mentre il governo minimizza. Sulla vicenda è aperta anche un’inchiesta della Procura di Roma che coinvolge la premier e tre ministri. Forse il governo Meloni, allora, sbagliò a non mettere il segreto di Stato sul caso Almasri. Ma, al di là di questo, fece bene a rispedirlo subito in Libia: in gioco c’erano gli interessi italiani e la sicurezza dei nostri connazionali. L’opposizione, com’è naturale, oggi fa rumore e suona la grancassa. Eppure, a guardare bene, qualsiasi governo si sarebbe comportato allo stesso modo. La verità è che il caso Almasri sembra interessare più ai partiti e ai giornali che agli italiani. L’impressione è che il clamore politico e mediatico superi di gran lunga la reale attenzione del Paese.





