Addio a Frank O. Gehry, genio architettonico delle forme nuove
Nel corso della sua lunga carriera, Gehry ha ricevuto le più prestigiose attestazioni: tra esse il Pritzker Architecture Prize nel 1989, massimo riconoscimento assegnato nel campo dell’architettura
Ci ha lasciato all’età di 96 anni Frank Owen Gehry (al secolo Ephraim Owen Goldberg): nato il 28 febbraio 1929 a Toronto, in Canada, al pari di archistar del calibro di Renzo Piano e Zaha Hadid, ha segnato un’epoca dell’architettura contemporanea.
Trasferitosi nel 1947 a Los Angeles, dove ebbe inizio il suo percorso creativo, Gehry ottenne la cittadinanza statunitense nel 1951 e studiò architettura presso la University of Southern California, laureandosi nel 1954; frequentò successivamente la Graduate School of Design dell’Università di Harvard, ma abbandonò gli studi prima di completarli per dedicarsi alla professione. Negli anni Sessanta fondò lo studio Gehry Partners, LLP, che si distinse rapidamente per le sfide estreme lanciate ai limiti della progettazione architettonica: i primi lavori, come la ristrutturazione della sua residenza di Santa Monica (1978), introdussero materiali non convenzionali, quali la lamiera ondulata e le recinzioni a maglie metalliche, caratterizzandone, da subito, il tipico approccio “decostruttivista”, che rappresenterà il “marchio di fabbrica” delle sue creazioni fin dagli anni Ottanta, quando la reputazione di Gehry cominciò ad affermarsi a livello internazionale, grazie, in particolare, ad una peculiare capacità di bilanciare l’espressione artistica delle forme inedite proposte con la funzionalità degli spazi.
Nel corso della sua lunga carriera, Gehry ha ricevuto le più prestigiose attestazioni: tra esse il Pritzker Architecture Prize nel 1989, massimo riconoscimento assegnato nel campo dell’architettura.
Lo stile dell’archistar canadese è immediatamente riconoscibile, caratterizzato da forme non convenzionali e dall’adozione di tecniche innovative: il suo approccio coniugava creatività e cambiamento, dando vita a opere iconiche celebrate in tutto il mondo. Progetti rivoluzionari come il Vitra Design Museum di Weil am Rhein (1989) e il Guggenheim Museum di Bilbao (1997) hanno definitivamente consacrato la sua singolare capacità di immaginare strutture caratterizzate da un design avveniristico, in grado di generare edifici sorprendentemente audaci e fantasiosi, che, tuttavia, non relegano mai in secondo piano concetti fondamentali quali la comprensione dello spazio urbano e l’integrazione con il contesto.
La «filosofia decostruttivista» di Frank O. Gehry non ha solo segnato un epocale punto di discontinuità con i canoni architettonici tradizionali ma ha rivoluzionato il modo stesso di fare architettura. Le sue strutture frammentate e asimmetriche, sinuose ed appuntite, si traducono in «edifici-scultura che sembrano sfidare le leggi della statica, enfatizzando il tema della fluidità degli spazi e fondendo la funzionalità con un’estetica di enorme impatto visivo». Questo approccio è perfettamente ravvisabile non solo nelle disarticolate forme del già citato Guggenheim Museum, dove, peraltro, l’uso degli spazi aperti sconvolge le convenzioni, offrendo nuove esperienze a occupanti e visitatori, ma nella perfetta integrazione tra luce naturale e forme dinamiche definita dalle ampie curve della Walt Disney Concert Hall di Los Angeles (2003) e dalla giocosa irregolarità della Casa Danzante di Praga (1996). Qui, in modo particolare, Gehry sfida le consuetudini relative all’utilizzo dei materiali, incorporando elementi non tradizionali: metalli come il titanio e l’acciaio inossidabile sono definiti da texture dall’aspetto avveniristico, garantendo, nel contempo, la durevolezza strutturale, mentre le recinzioni a maglie metalliche e il metallo ondulato, inizialmente utilizzati in progetti più piccoli (come quello per la casa di Santa Monica), evidenziano il carattere sperimentale della sua filosofia costruttiva, che introduce ovunque materiali compositi, metalli leggeri e nuove tecniche di costruzione per creare forme audaci e dinamiche, prima del tutto impensabili.
L’opera di Frank O. Gehry, avendo stabilito nuovi parametri di innovazione, creatività e trasformazione, continua – e continuerà per molto tempo ancora – a plasmare il dibattito architettonico globale. Gli audaci progetti da lui realizzati, a metà strada tra scultura e architettura, hanno ridefinito il modo in cui gli spazi vengono percepiti e vissuti ed influenzato la rivitalizzazione socio-economica dei contesti urbani. La sua capacità unica di armonizzare la visione estetica con la funzionalità, combinando forme non convenzionali, tecnologie avanzate e materiali sostenibili, ha ispirato gli architetti a percorrere territori inesplorati nel campo del design: l’influenza del suo “decostruttivismo”, così, si estende oltre le opere che ci ha lasciato, promuovendo un’eredità di innovazione che ridisegna i confini dell’architettura ed apre nuovi orizzonti.
A conclusione del nostro contributo ci piace riportare – quale migliore e più suggestiva testimonianza di ciò che egli ha rappresentato (e continua a rappresentare) con la sua architettura – le parole di Paolo Portoghesi: «Credo che, in fin dei conti, il tratto più distintivo di Gehry, ciò che più di ogni altra cosa lo differenzia da tutti i costruttori del nostro tempo, risieda nella sua singolare capacità di trasporre l’architettura su un piano “profetico”: le sue monumentali creazioni, che si scompongono alla vista per ricomporsi, con lucida coerenza, nell’articolazione degli spazi che ne connettono le diverse parti, sembrano prefigurare, nel modo più convincente e con grande anticipo, quel futuro verso cui l’architettura stessa tende».
Antonio Palumbo











