Cucina italiana patrimonio dell’Unesco? Domani il verdetto
Il verdetto presumibilmente arriverà in mattinata. Per la prima volta sarà esaminato e giudicato un intero movimento gastronomico, un’intera tradizione culinaria
Mancano ormai poche ore al fatidico mercoledì 10 dicembre, data in cui finalmente sapremo il verdetto sulla candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Il Comitato, riunito Nuova Delhi, deciderà se potremo fregiarci di questo titolo. Il verdetto presumibilmente arriverà in mattinata. Per la prima volta sarà esaminato e giudicato un intero movimento gastronomico, un’intera tradizione culinaria quotidiana, e non una singola tradizione o ricetta culinaria.
Il cibo, si sa, è arte, cultura, identità. E a conferma di ciò è il fatto che ad oggi ci sono ben diciannove tradizioni culinarie riconosciute dall’Unesco sparse in tutto il mondo, due delle quali sono italiane: la Dieta mediterranea e l’arte del pizzaiuolo napoletano. La cucina italiana è universalmente intesa non solo come saperi antichi tramandati nel corso dei secoli, ma anche come rituale di convivialità, identità, valore culturale del nostro Paese che racconta storie di famiglie e comunità attraverso il cibo.
Il fil rouge che lega la cucina italiana, pur nelle molteplici diversità di interpretazione di una ricetta dovute al territorio, alla storia, alla geografia, è un sentiment che vede alla base della pratica sociale una valenza sentimentale perché preparare una pietanza vuol dire prendersi cura di chi la consumerà, oltre al raccontare una storia fatta di profumi, sapori, territorio e tradizione.
Di recente il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, durante la presentazione della “Guida alle Osterie d’Italia” 2026, il libro mastro che racconta le diversità della cucina in Italia, parlando si è così espresso dinanzi agli osti e alle ostesse presenti: “Se la cucina italiana diventerà Patrimonio dell’Umanità il merito principale è vostro: il patrimonio che voi portate avanti con i vostri prodotti e le ricette testimonia che la nostra cucina ha delle radici profonde e che siete riusciti a creare un forte legame con il territorio esaltandone la biodiversità”.
Un’affermazione importante che ricorda come la cucina italiana si basi soprattutto sulla cucina locale nel suo contesto autentico, sull’utilizzo di prodotti di qualità e del territorio, sull’attenzione allo stare bene e al piacere della tavola, tenendo a mente che in cucina c’è gente che lavora duramente e fa sacrifici.
La cucina del Belpaese non è intesa solo come cibo, ma come un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basati sui saperi locali che rappresentano l’identità e la cultura italiana. Le osterie hanno avuto il pregio di ben interpretare questi valori e farli diventare identitari, portandoci per mano in un viaggio alla scoperta dei meandri dell’Italia più autentica, più vera.
Tuttavia non ci si può esimere dal fare una serie di riflessioni e di critiche costruttive sul mondo della cucina e, nello specifico, della ristorazione italiana. A tal proposito, così si esprime Matteo Cardamone, titolare dell’Osteria Mediterranea Sesta Stazione di Vietri sul Mare, che da tempo fa parte del mondo di Slow Food: “Bisogna tenere a mente che la cucina è un mestiere tecnico. Non basta cucinare bene a casa. Non basta fare un paio di mesi di stage. Non basta dire ‘mi piace cucinare’. La cucina è memoria, velocità, pulizia, gestione del tempo, conoscenza delle materie prime, sicurezza alimentare, organizzazione mentale e responsabilità. E tutto questo non lo regala nessuno, ma si costruisce con anni di fatica, turni pesanti, errori, umiltà e ascolto. Oggi ci sono ragazzi che il primo giorno di lavoro non sanno legare una salsa, non sanno muoversi senza intralciare, non sanno tenere un tagliere pulito, ma vogliono il contratto top, lo stipendio top e i giorni liberi come un manager aziendale”. “La verità – prosegue – è semplice: il mercato non paga quanto chiedi, ma paga ciò che sai fare. L’umiltà fa crescere. L’arroganza chiude le porte”.
Un invito, attraverso le sue parole che esprimono un amore profondo per la cultura gastronomica italiana e un rispetto sacrale per il lavoro e l’impegno che richiede, a mettersi sempre in discussione e a non sentirsi arrivati.
Il 10 dicembre non sarà dunque solo l’esito di un dossier, ma l’inizio di un nuovo percorso che dà la giusta centralità a un modello alimentare e culturale che da secoli rappresenta l’anima di un popolo. Qualunque sarà l’esito, una cosa è certa: questa candidatura cristallizza il grande valore che la cucina italiana si è conquistata nel mondo. Non resta che incrociare le dita.







