Sono oltre 70 i parlamentari che in questa legislatura hanno cambiato casacca. In epoca post-ideologica può essere un segno di intelligenza e di sintonia con le necessità del paese reale.
La libertà dal vincolo di partito è una garanzia costituzionale. I padri costituenti la pensarono a tutela della coscienza degli eletti di fronte a scelte etiche o di interesse generale che non sempre coincidono con le promesse elettorali.
I cambi consumati con la scissione del PdL in Forza Italia e Nuovo Centro Destra hanno modificato la geografia politica e consentito a Matteo Renzi, come leader del Pd e come premier, di dare vita a due maggioranze distinte per governare e convergenti per fare le riforme.
La prima con NCD e la seconda con NCD e FI. Per l’elezione del Presidente della Repubblica ne ha attivata una terza, completamente diversa, e non è escluso che per il prosieguo delle riforme se ne profili una quarta per rimpiazzare Forza Italia.
I nuovi arrivati condivideranno i contenuti delle riforme già incardinate con il patto del Nazzareno o ne pretenderanno la rivisitazione? Come dire chi pagherà il conto politico del nuovo percorso? Forza Italia, sedotta sulle riforme e gabbata per il Quirinale? Il PD, condotto da un leader che dice di andare avanti a prescindere? Oppure i cosiddetti nuovi responsabili, disponibili a passare da un campo all’altro? Resta il dubbio se si tratta di una operazione parlamentare a parametro zero o di un voto di scambio.
Quel che è certo è che il rapporto di lealtà instaurato con gli elettori, spesso negletto, è un valore etico, non scritto nella Costituzione, ma essenziale nelle democrazie rappresentative per la riconoscibilità politica e sociale dei mandati accordati agli eletti.