100X100 Cavese di Fabrizio Prisco: La nostra casa
In una celebre intervista, rilasciata a Guido Gerosa e pubblicata sull’Europeo alla fine di dicembre del 1970, Pier Paolo Pasolini parlava in questo modo della sua passione per il football: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”.
Se, come aveva capito Pasolini, uno dei più grandi artisti e intellettuali italiani del secolo scorso, il calcio è un rito sacro, e i tifosi sono i seguaci di una vera e propria religione, ogni rito sacro che si rispetti ha un luogo di culto dove ogni domenica si svolgono le sue funzioni. Lo stadio, nel calcio, può essere considerato a tutti gli effetti un luogo sacro, senza voler essere blasfemi.
Tutte le squadre hanno il proprio “tempio”, al quale ognuno di noi associa gioie e dolori, ricordi, momenti belli e brutti, attimi da cancellare o da portare in eterno dentro di sé. Il nostro “Simonetta Lamberti”, per quanto vetusto e avanti con l’età, conserva intatto il suo fascino, nonostante proprio in questi giorni abbia compiuto cinquanta anni.
Venne inaugurato in una fredda domenica d’inverno, il 12 gennaio del 1969. La Cavese, che allora militava in Promozione, affrontò il Leonida Gragnano in quella che può essere considerata come la prima partita a tutti gli effetti degli aquilotti nel nuovo impianto di Corso Mazzini. L’incontro non fu granché, ma notevole fu l’emozione del folto pubblico presente. Lo stadio non era ancora completato.
C’erano voluti quasi tre anni per vedere realizzato il progetto dell’ingegnere Vittorio Casillo, ex calciatore della Cavese degli anni Quaranta. L’ultimo incontro disputato nel vecchio campo sterrato di via Mazzini risaliva infatti al 15 maggio 1966: Cavese-Angri 0-0. Da allora, per circa trenta mesi, i metelliani giocarono le gare interne al “Piazza d’Armi” di Nocera, al “Del Forno” di Pagani, a Torre del Greco, Angri e addirittura a Pregiato, sul nuovo campo appena costruito nella frazione su iniziativa di Pasquale Salsano, assessore comunale ed ex calciatore della Juventina Cavese e della Casaburi.
Ai primi di gennaio del 1969, mentre la Cavese contendeva al Portici la prima posizione in classifica, il Comunale era ancora un cantiere. Il fondo in terra battuta era stato ruotato in senso sud-nord, rispetto a come si presentava in precedenza, orientato in direzione ovest-est, ed era stato sostituito da un bel manto erboso. Mancavano la recinzione e la curva nord, e neanche la tribuna coperta, priva dei servizi igienici, aveva ottenuto l’agibilità. Per giocare finalmente nel nuovo stadio, dopo aver aspettato tutto quel tempo dietro a ritardi burocratici, espropri di terreni e difficoltà economiche, la società aquilotta del presidente Michele Damiano, in accordo col sindaco Eugenio Abbro, mise a segno un autentico colpo di mano e si impossessò della struttura. Fu una forzatura. In barba ai mancati permessi, e per venire incontro alle richieste dei dirigenti, stanchi di girovagare sui campi della provincia, Abbro chiuse un occhio. Ma non ci fu una vera e propria inaugurazione.
La squadra, reduce dalla sconfitta nello scontro diretto di Portici del 22 dicembre 1968, al termine del quale l’allenatore De Fazio aveva rassegnato le dimissioni, era stata da poco affidata a Moscardo e non attraversava un buon momento. Per la gara del 12 gennaio 1969 contro il Leonida Gragnano il neo tecnico aquilotto si affidò al seguente undici: Candurro, Toso, Vaiani, Tascone, Lasaponara, Abbandonato, Ierardi, Ferrari, Passi, Franchini, Caponnetto. Il Gragnano, allenato da Bugna, rispose con: Pratticò, Cesaratto, Troiano, Cangianiello, Cascone, De Marco, Formisano, Salerno, Carbone, Di Martino e Monaco. L’arbitro, il signor Messia di Frosinone, dovette annotare ben poco sul suo taccuino. La partita si concluse infatti con uno scialbo 0-0 che allontanò gli aquilotti dalla vetta, occupata sempre più saldamente dal Portici.
Nonostante tutto, però, il nuovo stadio portò subito bene. Gli aquilotti, che inseguivano da quattordici anni la serie D, al termine del campionato chiuso al secondo posto, alle spalle del Portici, ottennero il ripescaggio per meriti sportivi, grazie ai buoni rapporti che il ragioniere Damiano aveva intrecciato con i vertici del calcio italiano, ed in particolare con Artemio Franchi, presidente FIGC e futuro massimo dirigente dell’UEFA, con Ottorino Barassi, presidente della Lega Dilettanti e con Dario Borgogno, Segretario Generale della Federcalcio. La conquista della serie D, pur dalla porta di servizio, riaccese l’entusiasmo in città e fu il primo passo di una rinascita che avrebbe proiettato la Cavese, di lì a poco, sempre più in alto nel panorama calcistico nostrano.
Dopo gli anni eroici ormai lontanissimi vissuti tra il Campo Arena e il Palmentieri e le partite disputate sul vecchio, sconnesso e polveroso Campo di via Mazzini, col Comunale si apriva una nuova era. All’inizio degli anni Settanta nessuna città della Campania, ad eccezione di Napoli, poteva disporre di un impianto come il nostro, dotato anche di una nuova e funzionale pista in porplastik in otto corsie, ideale per ospitare i meeting di atletica leggera.
Ancora oggi ognuno di noi è legato in modo viscerale al nostro stadio.
Ognuno conserva nel proprio cuore il ricordo di una partita, di un gol, di un personaggio. Chi ha qualche capello bianco in più non potrà mai dimenticare la festa col Martina Franca del 22 maggio 1977. Quel giorno c’erano quasi ventimila persone sulle scalee del Comunale per celebrare l’impresa dei ragazzi di Lojacono e la promozione in C. Allora il tifo si faceva nei distinti: il motore, autentico collante della nascente tifoseria cavese, era un ragazzo con i capelli lunghi, la giacca e un cuore grande così. Pensi ai distinti, al serpentone di metallo che conduceva negli spogliatoi, e la mente va a Eduardo Purgante e al suo “Un solo grido”.
In quegli anni la Cavese volava e gli spalti erano sempre pieni. Eduardo saliva sul serpentone, ti guardava dritto negli occhi, batteva i pugni sulle lamiere e dai distinti si alzava forte l’incitamento per le undici maglie biancoblù: “Pro Cavè olè, Pro Cavè olè olè”. Ma Eduardo non era fondamentale solo durante la partita. Durante la settimana faceva da collante tra squadra, pubblico e società, e spesso, prima degli incontri, cercava anche di accogliere e di ingraziarsi con i suoi modi simpatici e gentili la giacchetta nera di turno. Una battuta, un sorriso, un inchino al momento giusto, e molte volte il gioco era fatto. Il 28 gennaio 2018, a due anni dalla sua scomparsa, prima della gara con il Team Altamura, nei distinti è stata scoperta una targa in suo onore, proprio in corrispondenza della sua postazione di battaglia, e gli è stato dedicato il settore. Siamo sicuri che lassù Eduardo avrà gradito e ci avrà ringraziato a modo suo.
Al di là del 22 maggio 1977 e di quell’indimenticabile partita con il Martina Franca, il Comunale si riempì all’inverosimile anche per l’amichevole con l’Italia di Bearzot, il 14 febbraio 1980, e per lo splendido campionato 1980/81, al termine del quale la Cavese, per la prima volta nella sua storia, volò in serie B. La gioia fu irrefrenabile, ma la promozione fu conquistata in campo neutro, a Frosinone, perché il Comunale era stato squalificato a tempo indeterminato dopo gli incidenti di Campobasso. Durante i tre anni tra i cadetti il record d’incasso fu stabilito per Cavese-Milan: in quell’occasione ben 22.000 spettatori si riversarono nell’impianto di Corso Mazzini.
Nel corso degli anni, in altre circostanze lo stadio metelliano ha registrato un notevole afflusso di persone: è accaduto sia per lo spareggio salvezza con il Sant’Anastasia del 29 maggio 2001, sia con Ezio Capuano, Mario Somma e Salvatore Campilongo in panchina. Ma gli oltre duecentoquaranta milioni d’incasso di Cavese-Milan del 2 aprile 1983 rappresentano tuttora un primato difficilmente eguagliabile. Da quel giorno il nostro stadio è intitolato alla memoria di Simonetta Lamberti, la figlia del giudice Alfonso Lamberti, vittima innocente di un agguato di camorra. Un evento tragico e luttuoso che segnò irrimediabilmente la vita dell’intera città.
All’epoca dei fatti, il 29 maggio 1982, Simonetta era una bambina dolcissima e piena di voglia di vivere, non aveva compiuto ancora dodici anni. Con il padre, Procuratore Capo di Sala Consilina, ex dirigente e grande tifoso della Cavese, stava tornando a casa in auto dopo un pomeriggio trascorso al mare, a Vietri sul Mare. Quando una macchina, alle porte di Cava, affiancò la vettura guidata dal giudice, ed esplose diversi colpi di pistola, Simonetta probabilmente si era assopita. Il padre, ferito anche lui in modo non grave, non si accorse di nulla e mentre veniva soccorso pensò inizialmente ad un’esplosione legata ad un guasto dell’impianto di aria condizionata. La bambina, colpita alla testa, morì praticamente sul colpo. La decisione di dedicarle il nostro stadio, sull’onda dell’emozione, fu una scelta doverosa e di grande coscienza. La memoria di Simonetta, così come quella di tutte le vittime della criminalità organizzata, va onorata ogni giorno, anche se il dolore dei familiari, per una scomparsa così prematura, non potrà mai essere alleviato.
Dal 1968 al 1998 il nostro stadio è stato la casa di Beniamino Pisapia, lo storico magazziniere degli aquilotti, un altro pezzo fondamentale della nostra storia. Per trent’anni, ininterrottamente, Beniamino si è occupato degli spogliatoi, delle divise sociali ed è stato al servizio di tutti gli allenatori e i calciatori. Sempre mite e disponibile, mai una parola fuori posto, Beniamino ha accompagnato la crescita della sua squadra del cuore, giungendo dai campi polverosi della Promozione fino ad accarezzare il sogno della serie A. Mi sembra di vederlo ancora a San Siro, alto come un soldo di cacio, con quel viso stralunato, al termine della vittoriosa partita con il Milan: forse non ci credeva nemmeno lui. I suoi ragazzi avevano espugnato il Meazza, e lui, vecchio cuore rossonero, aveva contribuito in prima persona a quell’exploit storico, che ogni anno, il 7 novembre, viene celebrato da tutti coloro che sono legati ai nostri colori.
Quando verso la metà degli anni Novanta ho cominciato a muovere i primi passi da cronista, Beniamino mi ha fatto sentire sempre a mio agio. Quando scendevo negli spogliatoi, mi trattava come un giornalista affermato, con grande rispetto. Mi offriva il caffè e durante gli allenamenti, o in attesa che uscissero i calciatori, facevamo delle lunghe chiacchierate. Mi parlava di Santin, di De Tommasi, del ritiro di Riscone di Brunico condiviso con la Roma di Liedholm il secondo anno di B, della personalità di Viciani, del caratteraccio di Liguori e della signorilità di Belotti.
Io lo ascoltavo con grande interesse. Come Eduardo, anche Beniamino ha vissuto gli anni più belli della Cavese. Se ne è andato dieci anni fa, nel mese di marzo, dopo una lunga malattia, in punta di piedi. D’altra parte, era il suo stile. Non ti ho mai dimenticato, piccolo grande Beniamino. Tutte le volte che scendo nel ventre del Lamberti, il primo pensiero è per te.
Ogni angolo del Simonetta Lamberti, in verità, è legato alla memoria di qualcuno. Se la tribuna stampa e la sala stampa sono intitolate a due giganti del giornalismo nazionale e locale della Gazzetta dello Sport, Gino Palumbo e Raffaele Senatore, dopo la tragica scomparsa di Catello Mari, all’alba del 16 aprile 2006, i tifosi della Curva hanno pensato bene di dedicare la Sud al nostro Leone.
Esattamente dieci anni prima, alle spalle della Curva Sud “Catello Mari”, era ubicato il quartier generale di Franco Troiano, il presidente della Cavese e manager della Cooperativa Anni 60 che negli anni Ottanta e fino alla metà degli anni Novanta portò la grande musica al Lamberti: se Pino Daniele e Vasco Rossi erano praticamente di casa a Cava (basti pensare che il mitico Pino, quando non poteva occuparsene, affidava a Troiano il suo gigantesco pastore tedesco…), con i concerti dei Duran Duran, dei Dire Straits, dei Pink Floyd, dei Simply Red, degli Spandau Ballet, di Sting, Bob Dylan e di Tina Turner, la nostra città divenne il punto di riferimento per gli eventi musicali in tutto il meridione. Dai suoi uffici dietro la Sud, Franco Troiano organizzava i concerti e si occupava della gestione del club aquilotto, lui che era stato in passato portiere della Cavese alla fine degli anni Sessanta e grande tifoso ai tempi della valanga biancoblù.
Dopo la sua prematura scomparsa il 29 aprile del 1999, oggi il figlio Alfonso, coadiuvato da uno staff affiatato e competente, continua più che degnamente, sulle orme del padre, a riempire palazzetti dello sport con i grandi artisti. Nella sua mente e nel suo cuore Alfonso conserva sicuramente l’immagine del papà Franco, per gli amici “Ciccio”, patròn della Cavese per quasi quattro anni, che seguiva le partite a bordocampo con la passione e l’apprensione di un tempo ed esultava ad ogni gol con l’entusiasmo di un bambino.
Oggi il Simonetta Lamberti è agibile solo in parte, più o meno come quando si tenne la prima partita contro il Leonida Gragnano nel lontano 12 gennaio 1969. I lavori previsti per le Universiadi hanno ridotto ulteriormente la capienza.
Gli interventi dovranno essere ultimati entro il mese di maggio, considerando che la manifestazione si terrà a Napoli e negli impianti omologati dal 3 al 14 luglio. Il pacchetto prevede la rimozione delle barriere architettoniche, la realizzazione di una trentina di posti per i disabili, la ristrutturazione degli spogliatoi e dei servizi igienici, un nuovo impianto di illuminazione, la realizzazione di un nuovo tunnel di accesso al terreno di gioco e di una via di fuga dall’area comune all’esterno degli spogliatoi. La spesa prevista per l’adeguamento e la ristrutturazione dello stadio sfiora il milione di euro, e sarà finanziata in parte dai fondi regionali e in parte dal contributo del comune.
Dopo gli incontri del Torneo Anglo Italiano e le partite dell’Italia Under 21 con Cipro (1983) e Danimarca (1999), entrambe valide per le qualificazioni al Campionato Europeo, il Simonetta Lamberti tornerà dunque ad ospitare un evento sportivo di caratura internazionale. L’auspicio è che la nostra casa torni ad essere uno dei fiori all’occhiello dell’intera provincia. Anche se ha appena compiuto cinquanta anni, ogni tifoso della Cavese che si rispetti, quando attraversa Corso Mazzini, all’altezza dello stadio, non può fare a meno di alzare gli occhi per cercare la sua sagoma imponente.
Certo, ognuno di noi, se avesse una bacchetta magica, farebbe sparire quelle odiose reti di protezione che separano gli spalti dal terreno di gioco e che in diversi punti ostacolano la visuale. Purtroppo per motivi di sicurezza, nonostante il restyling, almeno per ora le reti resteranno al loro posto. Chissà che in futuro si riesca a trovare un escamotage per risolvere questa spinosa questione. Anche perché non c’è nessun tifoso della Cavese che non si augura di avere uno stadio più bello e accogliente.
In fondo al Lamberti siamo tutti profondamente affezionati.
(fonte Cavese 1919 http://www.cavese1919.it/)