Viviamo giorni distratti e pure, per certi aspetti, confusi. Dai clamori della visita del Presidente cinese al congresso di Verona, si parla poco di quella che, a tutti gli effetti, è ancora la Super Potenza Prima che, per cultura e mentalità ancora governa.
A partire dal modo in cui ogni giorno controlliamo la mail appena svegli al tipico linguaggio business che mette l’inglese pure quando proprio non ce ne sta bisogno.
In qualsiasi modo la vogliamo vedere gli Stati Uniti rimangono ancora il principale attore della politica internazionale, capace, sempre e comunque, di fare il bello e cattivo tempo.
Pure se ultimamente, tra una cosa e l’altra, effettivamente se ne parla poco nonostante i tweet infuocati del Presidente Trump.
Ci pensa Bob Woodward, immensa firma del giornalismo americano (ve lo ricordate “Tutti gli Uomini del Presidente” con la magistrale interpretazione del duo Robert Redford – Dustin Hoffmann?) autore dell’inchiesta storica che ha portato all’impeachment di Nixon, a far tornare il tema sotto ai riflettori.
“Paura: Trump alla Casa Bianca” è il suo lavoro recente che ricostruisce i primi anni della Presidenza Trump. Attraverso una pungente ricostruzione storica, di cronaca, testimonianza e un mix di indiscrezioni di fonti non citate, come da classica spy story made in US, Woodward ripercorre i principali avvenimenti che negli ultimi anni hanno riguardato Mr. Trump, a partire dalla sua elezione, sorprendente nel risultato e soprattutto nella scalata, per tracciare un ritratto più o meno veritiero, ma quantomeno singolare e nascosto ai contesti ufficiali, dell’attuale Presidente degli Stati Uniti. E lo fa senza mai scendere, direttamente, nell’arena della critica ma semmai esprimendo un giudizio attraverso commenti, frasi spezzate, conversazioni a mezzavoce da corridoio tra i protagonisti del suo staff, a vari livelli.
A cominciare al singolare personaggio di Steve Bannon, controcorrente per eccellenza, interprete, forse tra i più singolari del nostro tempo, del cosiddetto pensiero “antiglobalista”, una matrice che vede la causa di tutti i mali del nostro tempo, dalla disoccupazione, al reddito basso delle famiglie americane, nella globalizzazione e in tutti i suoi derivati.
Bannon, dapprima capo della campagna elettorale che porta alla vittoria delle Presidenziali il super imprenditore, poi “ChiefStrategist” (letteralmente “Capo Stratega” e viene da sorridere pensando a quante volte ritroviamo il senso della parola “strategia” nella vita politica attuale del nostro Paese) che poi si dimette dalla carica, per come lo ritrae Woodward è veramente il “deus ex machina” della matrice culturale che sta alla base della politica trumpiana: sempre contro il multilateralismo economico e militare considerato come causa di debolezza e decadenza della Potenza americana nel Mondo, Steve, in sostanza, è colui il quale, sfruttando il personaggio pubblico di The Donald, tutto improntato al sogno americano e, tipicamente, carattere di bianco americano conservatore dell’upperclass della Grande Mela, in colui il quale riesce a diventare una risposta, del tutto disrputive, alle ansie, anzitutto della workingclass americana rimasta inascoltata o, addirittura, snobbata dall’approccio un po’ radical chic della democratica Hillary.
Il risultato è un mix che diventa del tutto esplosivo grazie alla personalità di Mr. Trump, imbattibile venditore capace di leggere, all’istante, il pensiero di chi ha di fronte, e demolire, colpo su colpo tutti i democrats che parlano linguaggio fino. Bannon lo capisce prima di tutti e, così, Trump vince le Presidenziali del 2016, semplicemente perché parla alla pancia ed esalta la rabbia di quella parte dell’America, che diventa decisiva, seriamente incazzata per aver perso voce, potere d’acquisto e, in sostanza, lavoro.
Il libro di Woodward, inoltre, offre un singolare ritratto del personaggio correndo sulla linea dei suoi tweet infuocati che fanno impazzire lo staff perché non gli sta dietro, e in generale, di una totale imprevedibilità che rende quasi del tutto inefficace la pianificazione di una qualsiasi strategia: dalla politica commerciale, alla politica estera in medio oriente o in Corea, al rapporto con la Cina, alla riforma delle pensioni.
Un’imprevedibilità che scardina completamente e stravolge la Casa Bianca: dalle riunioni convocate all’improvviso e senza preavviso al permesso, totale, ai familiari del Presidente, in primis sua figlia Ivanka e il marito Jared Kushner, di poter prender parte alle riunioni sulla sicurezza o sulla politica estera.
E dietro questa politica dell’istinto e dell’istante, emerge un elemento chiave capace di far pendere la bilancia delle decisioni del Presidente: la Paura, ovvero, la consapevolezza, primordiale, che per avere successo, negli affari così come in ogni sorta di negoziato, bisogna incutere paura nel rivale, in chi si ha di fronte.
Un mondo, anzi, un universo del tutto opposto rispetto al predecessore, President Obama, freddo misurato e istituzionale. Paradossalmente sebbene conservatore, rispetto a chi ci stava prima, Mr. Trump viene fuori, alla fine, come il vero, esplosivo, antisistema.
Il libro si chiude, ma rimane aperto come solo i libri dei veri giornalisti fanno, sugli sviluppi aggiornati a quasi un anno fa delle indagini condotte dal Procuratore speciale Mueller, sul Russiagate.
Il ritratto che ne fa Woodward, insomma, ci consegna un’immagine decisamente particolare e inedita. Ma nonostante questo non emerge nessun tipo di giudizio o commento, se non attraverso la voce delle figure che lavorano con Trump, spiazzate radicalmente dal suo modo di fare.
E questa forse la cosa più grande e utile soprattutto per chi lo legge del lavoro di Woodward che, forse, ci dice pure qualcosa guardando al nostro Paese.
La democrazia, il migliore tra i peggiori sistemi al Mondo, consente, e qui non ci piove, di mandare al governo chi riceve più voti. Puoi essere d’accordo o no ma quello che viene fuori da un’elezione è un dato di fatto sullo stato di un Paese. Sulle sue speranze, paure, su di una visione di Mondo alternativa che si fa largo tra la gente.
Prima ancora che lamentarsi per la follia o il fascismo di questo o di quel candidato, forse e sempre forse, ha senso, prima di tutto, chiedersi su quali paure e ansie esso si fa forza. E poi, magari, ma non è detto che lo sforzo riesca ma tentar non nuoce mai, provare a costruire una visione di Mondo realmente alternativa.