scritto da Mariano Avagliano - 24 Marzo 2021 09:56

Il futuro si chiama Recovery Plan

prof. Luciano Monti

Intervista al prof. Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione Europea presso l’Università LUISS di Roma

 

Tuttora in preda all’emergenza pandemica, facciamo fatica ad immaginare il prossimo futuro. Il Recovery Plan è il percorso di futuro più concreto che abbiamo a disposizione. Si tratta di un programma di intervento lanciato dall’Unione Europea per ripartire e rilanciare la crescita, lo sviluppo e l’occupazione dopo l’emergenza del covid-19. Si tratta di una delle più grandi opportunità per l’Europa e per il nostro Paese. Per comprenderne meglio la portata, abbiamo intervistato il Professor Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione Europea all’Università LUISS GuidoCarli di Roma e Condirettore Scientifico della Fondazione Bruno Visentini.

 Buongiorno Professore. Che cosa è il Recovery Plan?

Il Recovery Plan è uno strumento contenuto all’interno del “PianoNext Generation EU” che è dotato complessivamente di 750 miliardi di euro. Bisogna sottolineare due aspetti che sono determinanti per l’attuazione del Recovery Plan e, di conseguenza, del Piano di Ripartenza e Resilienza italiano che è tuttora in fase di elaborazione.

Il primo è che, come indicato dallo stesso nome, Next Generation EU è un piano che viene immaginato soprattutto per costruire quella che sarà l’Unione Europea del futuro, improntato sui giovani e sui giovanissimi e questo è un aspetto molto rilevante.

Il secondo aspetto da considerare è che si tratta di uno strumento straordinario voluto e creato dai paesi membri a partire dal luglio del 2020 e, come abbiamo visto, approvato verso la fine dell’anno scorso e il cui regolamento di attuazione è stato approvato lo scorso 10 febbraio. Si tratta di uno strumento che va ad inserirsi sulla programmazione ordinaria dei fondi comunitari e quindi in particolare insiste sul Bilancio dell’Unione Europea 2021-2027 e in particolare sulla politica di coesione. Si tratta quindi di risorse che vanno ad affiancarsi a quelle che conosciamo con il nome di fondi strutturali.

“Il rischio per il nostro Paese è di non riuscire a impegnare e poi a spendere con efficacia queste nuove risorse”

Alla luce di questa premessa, quali sono quindi le concrete possibilità per l’Italia?

Intanto per quanto concerne l’Italia, non abbiamo ancora una certezza sugli importi effettivi che sono destinati al nostro Paese. Dei 750 miliardi del Programma Next Generation EU, 721 sono destinati al Recovery Plan. Di questi circa 209 miliardi era l’ammontare complessivo stimato di risorse destinate all’Italia. Attraverso una serie di ulteriori aggiustamento, attualmente la somma destinata al nostro paese, come rilevato anche dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco,risulta essere pari a circa 190 miliardi. È un ammontare tuttora in fase di definizione precisa perché bisogna applicare un coefficiente di concentrazione delle risorse nei paesi membri che viene calcolato sull’annualità 2019. Di questa somma circa 69 miliardi sono contributi a fondo perduto e la restante parte è costituita da prestiti. Ed è questa la parte su cui porre attenzione perché si tratta di denaro che deve essere restituito. Il rischio per il nostro Paese, come ricordato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, è di non riuscire a impegnare e poi a spendere con efficacia queste nuove risorse.

Come rilevato dal Ministro, nella programmazione ordinaria dei fondi strutturali 2020 su 75 miliardi entro dicembre scorso ne abbiamo impegnati 50. Di questi, solo 34 risultano effettivamente spesi. Da questo emerge chiaramente che il rischio in termini di mancata opportunità per l’Italia. Abbiamo avuto sette anni per impegnare e spendere le risorse della programmazione precedente e ora abbiamo solo due anni per impegnare e spendere le risorse attuali. In tal senso, come sottolineato dal Ministro, abbiamo bisogno di un cambio di passo per sfruttare questa opportunità.

A mio avviso non è semplicemente un problema di carattere amministrativo. Si tratta, invece, di un problema culturale. Il nostro Paese è poco incline al monitoraggio, non possiede la sensibilità che invece è radicata negli altri paesi.

Il Governo precedente è caduto proprio sulla capacità di impiegare con efficacia le risorse del Recovery Plan. Quindi, quali sono i punti concreti su cui intervenire?

La mancata efficacia del Governo Conte sul tema può essere ricondotta a due elementi. Il primo è che il documento varato nello scorso gennaio sul Recovery Plan non aveva alcun tipo di riferimento alle ipotesi di monitoraggio degli interventi. Si trattava di un elaborato di grande sintesi progettuale ma mancava di un elemento fondamentale: non conteneva le indicazioni sul monitoraggio richieste specificamente da Bruxelles.

Il secondo elemento, più formale, è che questo documento non era agganciato alla Legge di Bilancio. Questo ha dato come l’impressione che si volessero gestire tali risorse all’infuori delle competenze dei ministeri e delle regioni. La grave mancanza quindi consisteva nel fatto di voler prescindere dai soggetti che hanno la competenza a gestire le risorse europee.

La sfida che ci troviamo oggi di fronte è di arrivare al 30 di aprile a depositare un Programma di interventi che, come ricordato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e dalle Linee Guida della Commissione, sia basato su progetti che non sono solo cantierabili ma soprattutto monitorabili. Il monitoraggio non è un aspetto a cui poniamo sempre la dovuta attenzione ma quello che bisogna fare entro il 30 aprile è di trovare rapidamente sia gli indicatori di tutti i progetti, ovvero determinare come s’intende misurare correttamente l’andamento di un progetto, sia definire con chiarezza quali sono le “milestone” in termini di riforme che sono necessarie per l’attuazione degli interventi.

Bisogna evidenziare che a tal proposito sono state individuate tre riforme importanti: la prima è la riforma della Pubblica Amministrazione con specifico riferimento al sistema di rendicontazione, la seconda è la riforma della Giustizia, la terza è la Semplificazione Amministrativa con specifico riferimento agli appalti. Si tratta di tre azioni che devono essere chiaramente declinate.

Il Governo deve definire chiaramente, di fronte al Parlamento, le tempistiche di realizzazione di tali riforme. In caso contrario il nostro programma non potrà avviarsi con efficacia. 

“La maggioranza di governo attuale è più solida ma deve impegnarsi per portare avanti le Riforme”

Sembra di capire, dunque, che si tratti di un problema politico?

Si tratta innanzitutto di un tema di competenza perché l’elaborazione degli indicatori rappresenta un aspetto prettamente tecnico e scientifico. Si parla infatti di coinvolgimento del MEF dove queste competenze ci sono.

L’altro è un tema politico. Quello che probabilmente è mancato nel precedente esecutivo è stata la capacità costante di dialogo con il Parlamento. La maggioranza di governo attuale è più solida ma deve impegnarsi per portare avanti le Riforme. In caso contrario, il Presidente del Consiglio non avrà la capacità di presentare alla Commissione Europeo un Piano di interventi credibile.

“La pandemia ha fatto fare un passo in avanti all’Unione Europea, nella negatività abbiamo trovato nuove energie e soluzioni”

Secondo Lei il meccanismo di intervento straordinario rappresentato dal Recovery Plan è immaginabile anche nel prossimo futuro o si tratta di un’esperienza che si esaurirà con la fine dell’emergenza pandemica?

Bisogna anzitutto specificare che stiamo parlando di una delle ultime opportunità che passano per l’Italia. Se non apprendiamo adesso a impegnare le risorse straordinarie e ordinarie europee, probabilmente in futuro avremo molto meno opportunità e una situazione economica e sociale molto più difficile. Non abbiamo alternative e questa è un’opportunità che va raccolta subito. Il fatto che il precedente governo sia caduto su questo aspetto è un segnale importante perché forse per la prima volta si è percepita la rilevanza della questione.

La pandemia ha fatto fare un passo in avanti all’Unione Europea, nella negatività abbiamo trovato nuove energie e soluzioni. Ad esempio, in questo momento stiamo per emettere dei bond a livello europeo: non appena tutti i paesi avranno ratificato il Recovery Plan, la Commissione emetterà 750 miliardi. Un risultato che un anno fa non era immaginabile.

L’Unione si fonda sul rispetto dello Stato di Diritto e delle libertà fondamentali. Tuttavia, abbiamo visto negli ultimi anni che alcuni paesi, come l’Ungheria, pur restando nell’Unione hanno attuato forti limitazioni alle libertà fondamentali. Secondo Lei Professore, è possibile vincolare l’erogazione dei fondi strutturali al rispetto dello stato di diritto e in che modo?

La risposta è su due livelli. Sotto il profilo formale non è solo possibile ma è stato fatto. Nella nuova programmazione è stato introdotto il “principio della condizionalità” in base al rispetto dello Stato di diritto. Secondo le nuove norme, e anche il Recovery Plan soggiace a questa regola, se uno stato membro entra in infrazione sul rispetto dello Stato di diritto è possibile sospendere i contributi. Tuttavia nel corso di un compromesso tra la cancelliera Merkel, il premier ungherese Orban e il premier Polacco avvenuto lo scorso anno, si è deciso di attendere un periodo di 24 mesi entro il quale definire con una certa esattezza i criteri in base ai quali definire le violazioni. Sono convinto però che tale principio rappresenti più una “moral suasion” che uno strumento concreto dato che è molto difficile e complicato bloccare l’attuazione degli strumenti della politica di coesione.

Qual è a suo avviso la sfida principale che l’Unione si trova ad affrontare nel suo prossimo futuro?

Sull’agenda della Presidente della Commissione, Ursula von derLeyen, c’è un punto rilevante che riguarda il futuro dell’Unione verso le prossime elezioni del Parlamento europeo.

L’intento è quello di arrivare nel 2024 all’elezione di rappresentanti eletti non più nell’ambito di partiti politici nazionali ma nella dimensione di partiti politici effettivamente europei.

Si tratta di una sfida ambiziosa che rafforza la visione comune europea all’interno del Parlamento. Speriamo che, non appena terminata l’emergenza pandemica, la Presidente von derLeyen possa riuscire, in sinergia con il Parlamento, in questo intento e vincere anche questa sfida.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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