Milioni sono i giovani italiani disoccupati ed inoccupati. Non è una novità e nessuno ormai storce il naso. E’ risaputo, si dice sia “normale”.
Cosa è normale? E’ normale non poter lavorare seppur laureati, specializzati, masterizzati? E’ normale dover emigrare in uno dei tanti paesi europei dove ancora si lavora e si vive degnamente? E’ normale credere che trasferirsi nella tanto decantata Londra per fare il cameriere sia la soluzione a tutti i problemi e non il falso paradiso dei nuovi cinesi d’Europa?
Se tutto ciò è normale allora il nostro non è più un Paese democratico e la nostra Costituzione non ha luogo d’esistere. L’articolo 1 della nostra Carta costituzionale parla dell’Italia come di una Repubblica fondata sul lavoro. Ed è il primo. Non oso citare quante altre illusioni siano contenute nei restanti articoli.
Se l’indignazione non è tra le caratteristiche che contraddice il popolo italiano, è pur vero che nello Stivale nascono e crescono migliaia di potenziali geni. Probabilmente il proliferare di menti eccelse non è solo una questione di patrimonio genetico, ma è l’adattamento al disagio a richiedere uno sforzo migliore di fronte a condizioni economico-sociali e culturali peggiori.
Se l’italiano medio, in questi giorni raccontato al cinema in chiave satirica, è colui che ha il piede in due staffe, dall’apparenza distinta e dalla sostanza al 2% delle facoltà celebrali, è pur vero che esiste un’altra tipologia di italiano. Lo si conosce come l’italiano all’estero che ha avuto fortuna. La fortuna non assistita dal merito è vacua speranza e se è vero che la speranza è l’ultima a morire, è anche vero che la speranza spesso diventa il rifugio di chi si piange addosso e non fa nulla per cambiare ciò di cui si lamenta.
L’italiano all’estero non è niente altro che un italiano nato e cresciuto in Italia. E’ una persona che ha studiato e che, piuttosto che lagnarsi, ha deciso di portare le sue idee lì dove vengono pagate. Certo, in Italia il compenso è un lusso per pochi. In Italia se non si percepisce una retribuzione a fronte di una prestazione non è un reato, è la “gavetta”. Questa forma di sfruttamento gratuito, legalizzato e sostenuto è la piaga vera del mondo del lavoro italiano.
Chi non retribuisce si nasconde dietro la crisi economica, chi lo accetta fomenta questa schiavitù moderna. E’ di fronte a questa realtà che il giovane italiano oggi rincorre il proprio futuro cercando di ingrassare il proprio curriculum vitae come meglio può alla ricerca di un quasi utopico rimborso spese,se gli va bene.
Pochi sanno che esistono veri e propri corsi su come realizzare un CV adeguato al mercato e finalizzato all’azienda X a cui arrivare tramite il Network giusto e da cucire addosso ad un personaggio da interpretare. In questi corsi si viene seguiti dalla A alla Z; che carattere usare, che foto inviare, che parole utilizzare. Premia l’essere sintetici ma incisivi.
In Italia l’iter è il seguente. Ci si laurea e iniziano i problemi. A seconda della facoltà, tolti i medici non ancora specializzandi,i praticanti avvocati, gli aspiranti magistrati e notai e coloro che tentato il lotto con i concorsi pubblici (tutti inoccupati) vi sono coloro che cercano nel privato avanzando la propria candidatura ad aziende varie dislocate sul territorio italiano. A seguito di silenzi lunghi anche più di un anno, se la fortuna o la raccomandazione colpisce nel segno, al candidato, se non è trascorso più di un anno dalla laurea, viene offerto uno stage con rimborsi spese, il più delle volte, ridicoli. Se, invece, l’anno è passato ed il candidato è ancor più fortunato del precedente potrebbe ricevere l’offerta di un apprendistato, sempre che non abbia compiuto gli anni 30. Scaduto questo termine il ragazzo/a è fuori gioco ovvero si ritrova ad essere fuori dal mercato senza esperienza e senza una formazione post laurea.
Di cosa si parla quando si fa riferimento alla formazione post laurea? Per chi ha la possibilità economica, sebbene spesso sia possibile usufruire di borse di studio finanziate da aziende sponsor, vi è il mondo dei Masters. Infiniti Masters, di I livello, II livello, Corsi di alta specializzazione fino ad arrivare al Master per antonomasia: l’MBA da non confondere con l’NBA. Il Master in Business Administration è quello noto per le cifre esorbitanti offerto da scuole di business esclusive, piccole grandi realtà imprenditoriali che permettono dopo 12 mesi full time o 24 mesi part time di raggiungere le più alte posizioni aziendali.
Per un fresco laureato barcamenarsi nella realtà del post laurea richiede uno sforzo paragonabile quasi a quello impiegato per una seconda laurea solo per individuare cosa fare, dove e con quali mezzi. C’è poca informazione e una voluta scarsa trasparenza.
Altro aspetto fortemente trascurato dalle università italiane sono le lingue straniere e non solo perchè non vengono imposti esami certificati e di un livello adeguato per uno studente italiano che volesse continuare a formarsi o lavorare in uno stato estero. Ciò che non viene indicato, spesso per disinformazione, è la tipologia dei test da sostenere per poter certificare seriamente ad un’azienda la propria preparazione in una data lingua sia in Italia che all’estero.
Non sono le classiche Certificazioni Cambridge ad essere richieste dalle imprese, piuttosto l’Ielts per le aziende e i Masters nei paesi anglosassoni, il Toefl per quelli negli Stati Uniti.
E’ in questo buio che l’italiano medio cerca di diventare l’italiano all’estero che ha avuto fortuna. E’ grazie a questo buio che alcuni lo diventano senza fortuna aggiungerei, ed a causa di questo buio che i più preferiscono vivere rassegnanti ma con la speranza di un’Italia diversa.
Ciò che intristisce è la consapevolezza che questa Italia diversa tanto desiderata non sarebbe niente altro che un’Italia normale, normale rispetto al resto del Mondo, rispetto a quei paesi ai quali la nostra Italia non ha proprio nulla da invidiare.