Ucraina, fermare la guerra che promette soldi agli oscuri del mondo
Ucraina, fermare la guerra che promette soldi agli oscuri del mondo
Nella resistenza degli ucraini contro l’invasione dei carri armati russi si può leggere lo spirito del prode combattente che “lotta per la propria patria” esaltato da Tirteo, tradotto da Orazio in “dulce et decorum est pro patria”.
Lo stesso spirito che ha animato nel 1956 i ragazzi di Budapest contro i carri armati sovietici. Le immagini odierne delle distruzioni e delle emigrazioni di massa dai territori dell’Ucraina investiti dai bombardamenti, invece, suscitano sgomento e tristezza.
C’è dell’uno e dell’altro nelle narrazioni rese dai mass-media sia dai luoghi dove si combatte con le tradizionali armi da fuoco che dalle centrali politiche dell’informazione orientata a suscitare terrore o ad acquisire consensi. Già durante la seconda guerra mondiale, la radio è stata un potente strumento di propaganda e di pressione psicologica sulle popolazioni dei territori attraversati dalle armate sia dell’Asse guidato dalla Germania che dagli Alleati anglo-americani.
La battaglia in Ucraina è il primo test di guerra condotta, contemporaneamente, con mezzi tradizionali e strumenti cyber in un epoca in cui i network dei social rendono domestiche le scene di guerra e forniscono notizie, fake o fruibili, alternative alle fonti ufficiali. E si sta combattendo sul continente europeo, dopo la fine delle sfere di influenze dettate ad Yalta, prendendo spunti da rivendicazioni motivate o presunte da istanze di indipendenza o di tutela di identità culturali e/o linguistiche.
Il relativo spirito, negletto nella cultura globalista, sta risvegliando nei territori dell’ex URSS sentimenti sopiti prima dall’ideologia comunista e, dopo la caduta della cortina di ferro, dalla geopolitica mercantilistica.
Nella contesa si sono incrociati e si incrociano, ed ancora di più in prospettiva, diversi interessi e valori: economici, e non solo di beni materiali; di culture, credenze religiose, tradizioni sociali e di sistemi politici. Se la loro sottovalutazione ha indotto Putin ad armare l’avventura in Ucraina con mezzi corazzati, resta in dubbio l’efficacia dell’armamentario delle sanzioni, preannunciate e poste in essere nei confronti della Russia, rispetto alle loro ricadute, nell’emisfero dei Paesi occidentali, in termini sociali e di libertà dal dominio delle oligarchie finanziarie ed energetiche.
Sul punto l’Europa si gioca l’indipendenza e la dignità di comunità politica, che non c’è in termini istituzionali; di potenza militare inadeguata per la difesa di se stessa; in economia carente di autonomia energetica; di faro e fonte di cultura i cui cardini giudaico-cristiani vengono posti in discussione in nome del relativismo omologante del politicamente corretto.
Tutto ciò, tradotto nel corrente chiacchiericcio politico e mediatico di casa nostra, non vuol dire tollerare o peggio, ancora di più, giustificare l’assedio di Kiev e l’invasione di città consorelle, ma comporta una riflessione storica sullo stato dell’EU e delle relative politiche.
A prescindere dai formalismi dialettici e dai contorcimenti semantici privilegiati, ad usum elettorale, dalle élite politiche a proposito delle interpretazioni o delle analisi del sangue di chi si professa o contesta di essere o non essere atlantista, europeista, sovranista o patriottico. O più o meno fans di Putin o di Biden.
Non si tratta di mettere bandierine sull’auspicata pace che può avere tanti colori, quanto fermare una guerra che promette oscurità e tanti soldi per gli oscuri del mondo.