Quello delle trivelle è uno dei temi ricorrenti di queste giornate, come al solito tese e convulse per il Governo e le sue opposizioni.
Tra meno di due settimane gli italiani andranno alle urne per esprimere il proprio parere, con un consenso o un dissenso sulla norma che prevede di estendere la concessione “sine die” alle società petrolifere già autorizzate ad estrarre, nelle acque territoriali, vale a dire entro le 12 miglia marine (circa 20 km.) dalle nostre coste, petrolio e gas: il quesito riguarda l’abrogazione del comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006 sulle norme in materia ambientale.
Non riguarda, quindi, la maggior parte delle trivellazioni in acque italiane, complessivamente 66 e collocate soprattutto oltre le 12 miglia, e dunque fuori dal referendum.
Il referendum riguarda esclusivamente le 21 trivelle localizzate entro le 12 miglia marine, precisamente 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche, 1 nel Veneto, di proprietà di compagnie estrattive diverse, sulla base di una concessione che dura inizialmente 30 anni, poi prorogabile per due volte, cinque anni ciascuna: in totale 40 anni, più altri cinque possibili.
Secondo la normativa vigente, oggi scaduta, dopo 40/45 anni la concessione prevede la cessazione della trivellazione.
Il provvedimento del governo Renzi, cioè la norma inserita nella legge di stabilità, contro la quale è stato promosso il referendum, dice che anche quando il periodo concesso finisce, l’attività può continuare fino all’esaurimento del giacimento.
Il quesito del referendum del 17 aprile oltre a non riguardare le trivellazioni oltre le 12 miglia, non riguarda neanche possibili nuove trivellazioni entro le 12 miglia che sono già vietate per legge, sulla base del decreto legislativo 152 prevede già il divieto di nuove estrazioni.
E’ appena il caso di ricordare che i quesiti referendari proposti erano sei, ma la Corte costituzionale ha accolto solo quello che riguarda le trivellazioni.
Chiariti gli esatti termini della questione, andiamo ora ad esaminare alcuni aspetti della complessa vicenda.
Per una bizzarria insanabile chi è contro la proroga delle trivellazioni dovrà votare SI, chi è a favore della proroga dovrà votare NO.
Ma oramai è noto che, nei referendum, oltre alle due possibilità, SI o NO, ve n’è una terza, vale a dire quella dell’astensione; infatti se al referendum non parteciperà il 50 più 1 per cento degli elettori, esso decadrà e le cose rimarranno così come stanno ora: l’astensione, nel referendum, è una scelta legittima (per i cittadini) tant’è che il governo (illegittimamente) esorta i cittadini a boicottare questa espressione di democrazia diretta, invitandoli ad andare al mare.
Una prima considerazione da fare riguarda la iniziativa referendaria; in questa occasione questo referendum non è stato promosso dagli elettori (l’iniziativa popolare non raggiunse le cinquecentomila firme richieste) ma da nove Regioni (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise); il che la dice lunga sull’interesse dei cittadini alla questione che riguarda le trivelle e se non ci fosse stata la possibilità che il referendum venisse promosso dalle Regioni, oggi non saremmo qui ad accapigliarci per le trivelle.
Ma c’è da fare un’altra considerazione, certamente più importante della prima: è sentire comune che questo referendum, abbia un peso politico che travalica le buone intenzioni dei promotori per l’ambiente, l’ecologia, giacché è un’ulteriore arma che le opposizioni hanno per dare una spallata al Governo Renzi, colpevole, per loro, di tutti i mali dell’Italia.
E certamente il recente scandalo che ha portato alle dimissioni forzate della Ministra Guidi, caduta su una buccia di banana proprio per una concessione petrolifera della quale si sarebbe avvalsa l’impresa del suo compagno, non è di aiuto a Renzi, anzi rischia di essere la goccia che potrebbe far traboccare il famoso vaso.
Veniamo ad esaminare, ora, le ragioni di chi sostiene “no triv” e quelle di chi sostiene il contrario.
Contro la proroga delle concessioni, autorevoli costituzionalisti e ambientalisti mettono in campo posizioni principalmente ideologiche, vale a dire la convinzione (a nostro avviso fondata) che ci possa essere una politica diversa, non basata solo su fonti fossili; in gioco c’è la tutela del mare e non va bene che la legge di stabilità abbia autorizzato ulteriore estrazione “sine die”, come sostiene Enzo Di Salvatore, costituzionalista e tra i promotori del Comitato No-Triv.
Ma il problema non è solo di tutela ambientale in quanto se su un piatto della bilancia poniamo la tutela della specificità italiana, tra cui il patrimonio culturale e il comparto agroalimentare, non possiamo non tenere conto delle argomentazioni che stanno sull’altro piatto, vale a dire l’interesse economico delle compagnie petrolifere, e, di conseguenza, delle varie componenti economiche che ne derivano, non ultima la salvaguardia delle migliaia di posti di lavoro dei super-tecnici impiegati sulle piattaforme.
C’è da valutare se, a fronte di potenziali rischi esistano vantaggi per la collettività e se le trivellazioni possano portare un beneficio energetico per il paese. Il Presidente del settore idrocarburi di Assomineraria, Pietro Cavana, sostiene che con la proroga delle trivellazioni si creano 25.mila nuovi posti di lavoro, anche se, di parere contrario è Leonardo Maugeri, ed Manager di Eni e ora professore ad Harward il quale, sul Sole 24 Ore, ha scritto che “gran parte dei siti estrattivi si controllano con poche persone, in molti casi da posizioni remote; anche nel caso di un via libera generalizzato alla proroga delle concessioni è alquanto dubbio che si possano creare il 25mila posti di lavoro, giacché il numero di nuovi posti si ridurrebbe a poche migliaia”.
Vi è poi un aspetto alquanto trascurato e di non poco conto, quello delle “royalties” che le compagnie petrolifere dovrebbero versare, ma che non sempre versano.
Secondo Legambiente le “royalties” in Italia sono pari solo al 10% per il gas e al 7% per il petrolio in mare. Ma sono esenti dal pagamento le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare: entro quei limiti è tutto gratis. Nel 2015 su un totale di 26 concessioni produttive solo 5 di quelle a gas e 4 a petrolio, hanno pagato le “royalties”. Tutte le altre concessionarie hanno estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia e quindi non versare “royalties” a Stato, Regioni e Comuni.
E, alla fine, non è ininfluente una ulteriore considerazione; la fine delle trivellazioni comporta, per le compagnie petrolifere, il costoso smantellamento delle piattaforme, che la proroga delle trivellazioni rinvia “sine-die”.
Come si vede, la questione è molto complessa e non può essere affrontata con la leggerezza messa in campo sia dai fautori della proroga delle trivellazioni, sia da quelli del blocco. Ed è la coscienza degli elettori che dovrà valutare, in maniera il più possibile freddo e razionale, se debbano avere prevalenza le ragioni del cuore o quelle del cervello.
Una ultima considerazione, alla quale abbiamo già fatto cenno in precedenza.
Vi è la diffusa sensazione che questo referendum costituisca, per le opposizioni al governo, un ulteriore potente maglio da utilizzare per assestare il colpo di grazia a Renzi e mandarlo a casa; e la vicenda dello stupido comportamento dell’ex Ministra Guidi può essere un valido aiuto a questo schieramento.
Niente di più sbagliato: a nostro avviso il problema del Trivelle SI, Trivelle NO va riportato nell’ambito delle valutazioni fredde e razionali alle quali prima ci riferivamo, giacché non è con un referendum o con una gaffe di un ex componente del Governo che si può valutare l’operato di un Governo che un certo numero di riforme ha pure fatto, e dal quale non si poteva pretendere che, in due anni, cambiasse le cose come tutti stupidamente avevano auspicato; dopo decenni di radicate e pessime abitudini, di politica politicante e inconcludente, di burocrazia “tutelante” e bloccante, di ingerenze affaristiche e lobbisti, solo da stupidi potevano illudersi che le cose potessero essere cambiate con la bacchetta magica di Renzi o di chicchessia.
Rientriamo nella razionalità, facciamo prevalere la logica e non l’animosità partigiana, e probabilmente anche il referendum del 17 aprile verrà vissuto con minore animosità e maggior rigore scientifico, e con il distacco necessario affinché tutte le parti in campo, Governo, oppositori alla trivellazioni e fautori della proroga, possano trovare un punto di intesa.