scritto da Eugenio Ciancimino - 16 Agosto 2023 09:44

Salario, il ballo del pallone (in tribuna o in piazza?)

L’ex presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte (foto tratta dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri)

C’è qualcosa di bizzarro nella raccolta di firme promossa da Giuseppe Conte sul progetto di legge di sua iniziativa per l’istituzione del salario minimo a 9 euro l’ora.

Perché, indetta per sfidare la Premier Giorgia Meloni, dopo l’incontro a Palazzo Chigi tra opposizioni e Governo, di fatto si va configurando come una contesa con Elly Schlein per la leadership sulla galassia della sinistra.

Le  luci accese sui salari sono avvertite con diffusi favori, popolari o populisti che dir si voglia, per non coinvolgere fasce di elettorato comune in tutti i partiti in imminenza delle consultazioni europee. Ciascuno di essi, per via dello specifico sistema elettorale, è costretto a fare da se, concorrendo da solo nella raccolta dei consensi sulla propria bandiera.

Sul tema ci sono vaste platee di potenziali elettori da cui pescare, sia pure con motivazioni diverse, da sinistra e da destra.

Il leader del M5S conta di buttare l’amo tra i 3/4 milioni, da lui stimati, di prestatori d’opera sottopagati, in competizione con la lenza tentennante della Segretaria di un PD condizionato dai trascorsi storici propensi alla politica delle contrattazioni sindacali.

Anche nel campo opposto si incrociano sensibilità diverse tra FI, Lega e FdI in tema di economia e lavoro, per formazione culturale e rappresentanza di ceti sociali e produttivi, variamente dislocati e/o insediati sul territorio nazionale. Il che è motivo di competizioni, di fibrillazioni di rapporti all’interno della coalizione governativa ed è fonte di criticità nella adozione di provvedimenti dati e rimodulati.

Si comprende l’idea della Premier di ricorrere alla consulenza di un organo terzo, di rilevanza costituzionale, quale è il CNEL, su una materia complessa, come il cosiddetto “lavoro povero” (copyright di Giorgia Meloni), le cui dinamiche o sono sfuggite o neglette dalle forze politiche che hanno avuto responsabilità di Governo nell’ultimo trentennio e da parte delle stese sigle sindacali, Cgil-Cisl-UIL, più impegnate nei settori in cui il lavoro costituisce valore aggiunto alla produzione.

Mettere mano sulla formazione dei salari è una necessità di giustizia sociale e di equilibri di sistema tra bisogni da soddisfare, compatibilità con le regole imposte dal mercato e sostenibilità fiscale per le imprese e per i conti economici dello Stato laddove il Governo è chiamato a programmarne le traiettorie in termini di finanza pubblica. È bizzarro non tenerne conto perché il salario minimo non assuma forme surrettizie di assistenza, perciò sarebbe opportuno che la scrittura delle relative norme venisse agganciata alla sessione di Bilancio qualora si dovessero determinare oneri a carico dello Stato.

Pertanto, sembra poco pertinente attribuire a Giorgia Meloni l’intento di “buttare il pallone in tribuna”  nel chiedere una direttiva al CNEL, organo di consulenza per il Parlamento ed il Governo,  dotato di promozione legislativa e costituito dalla rappresentanza del mondo sia dell’economia che del lavoro.

Il tema salariale non può essere affrontato senza radiografare la realtà del mondo delle imprese e delle coperture contrattuali che in Italia raggiungono alti livelli sconosciuti in altri paesi richiamati come termini di paragone.

Non parlarne nei luoghi appropriati per rappresentanza e deputati ad assumere decisioni il pallone non lo si butta in tribuna ma in piazza: evocarla ed agitarla è una scelta politica poco istituzionale per un ex Presidente del Consiglio dei Ministri di una Repubblica parlamentare.

Paragonarne la portata ad una sorta di mobilitazione del tipo “autunno caldo” di 44 anni fa è un plagio linguistico ed un abuso politicante perché è diverso il contesto storico di maturazione e transazione economica e sociale del Paese.

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