La più approfondita (e spietata) analisi del comportamento di Bruno Vespa nell’intervista a Salvo Riina di mercoledì 6 aprile a Porta a Porta, l’ha fatta Roberto Saviano.
“Il maggior rischio, quando si incontrano figure così complesse come un mafioso, un terrorista, un capo politico, è quello di diventarne un megafono, enfatizzandone il messaggio, piuttosto che mediare tra quello che l’interessato vuole dire… e quello che si vuol far emergere. Il problema è quanto sa il giornalista, quanto sia davvero in grado di decodificare e capire”.
Bruno Vespa è diventato un ulteriore megafono della mafia e della cultura mafiosa che pervade il nostro paese.
Tutti conoscono Totò Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra, condannato a 18 ergastoli per i più efferati delitti compiuti dalla Mafia nell’ultimo cinquantennio, tra i quali quello di Giovanni Falcone di Paolo Borsellino sono i più noti.
Pochi conoscevano il figlio Salvo, anch’egli mafioso e già condannato a otto anni di carcere, scontati, che si è inventato “scrittore” per diffondere un messaggio che va al di là delle più che prudenti sue risposte alle scarsamente incalzanti domande di Vespa: probabilmente un messaggio poco chiaro alla quasi totalità dei telespettatori, ma certamente chiarissimo per i veri destinatari.
Le considerazioni da fare investono da un lato il ruolo e il peso professionale dell’intervistatore Vespa, dall’altro il significato vero di quella intervista.
In merito al ruolo del’intervistatore, chi sostiene che il giornalista deve dare spazio anche alle deviazioni della società ha perfettamente ragione, e non sembra che le nostre TV neghino o limitino tali spazi; nel caso specifico e gli stessi organi direzionali della TV di stato hanno ammesso di aver preventivamente autorizzato la messa in onda dell’intervista, peraltro precedentemente registrata e visionata.
Ma il problema, secondo Saviano, sta nella competenza, nella conoscenza e nell’arguzia del giornalista che, se sa fare bene il suo mestiere ed è all’altezza della situazione, non si fa prendere la mano da un mafioso che lo strumentalizza con tante chiacchiere alle quali il “bravo” Vespa non ha saputo far altro che “appiattirsi”, quasi genuflettersi, come al solito cerimonioso e autotutelante.
Non è necessario scomodare i grandi giornalisti del passato per rendersi conto del divario professionale esistente tra Vespa e, ad esempio, Montanelli, Zavoli e, più di recente, Marrazzo o Biagi o Bocca; perfino il vero e grande intrattenitore delle varie TV nazionali, Maurizio Costanzo, risulta, giornalisticamente parlando, di gran lunga superiore, oltre che molto impegnato contro la mafia, dalla quale subì anche un attentato.
E anche oggi, basta riportarsi alle interviste fatte da Lucia Annunziata, ora su Rai Tre, o da Giovanni Minoli, ora su Radio 24, per comprendere la differenza.
Ma qual è il ruolo di un giornalista che vuole scuotere gli spettatori o i radioascoltatori, se non quello che mettere a disagio l’intervistato, stringerlo alle corde, far uscire allo scoperto le sue segrete intenzioni, mitragliandolo di domande?
Se non fa così, qual è il suo ruolo nella ricerca della possibile verità?
Ricordiamo come finì l’intervista a Berlusconi fatta da Lucia Annunziata? Quando l’intervistato se rese conto che con l’Annunziata non poteva fare il galletto (come aveva sempre fatto, ad esempio, proprio da Bruno Vespa) e che sarebbe stato costretto a giocare almeno ad armi pari, perse le staffe e si ritirò.
Potrà pure capitare, come accadde alla stessa Annunziata con Vincenzo De Luca, di trovarsi di fronte ad un osso duro e che alle domande stringenti l’intervistato sappia rispondere con rigore logico e cipiglio tali da imbarazzare proprio l’intervistatore: ma questo fa parte del gioco e avalla ancor più la teoria che il bravo intervistatore è colui che scava nell’animo dell’intervistato e deve essere anche pronto a accusare qualche colpo se l’intervistato dimostra di essere un osso un tantino più duro del previsto.
Ma condurre un’intervista in tal modo richiede spregiudicatezza, conoscenza, ed anche una certa dose di professionalità (follia?) che l’intervistatore deve mettere in campo sapendo che un tale modo di procedere lo espone a qualche rischio: rischi che ha corso Lucia Annunziata, come Gard Lerner, e che non correrà mai il “cardinale” Vespa, intrattenitore per tutte le stagioni, e sempre sul ponte di comando dell’ammiraglia “Porta a Porta”. Cambieranno le coalizioni, i governi, gli schieramenti, ma quell’ammiraglia sarà sempre sulla cresta dell’onda e immune dai rischi di procelle e rivoluzioni.
E veniamo all’altra considerazione, francamente la più inquietante, e cioè il vero significato di quella intervista.
Ed è sempre Roberto Saviano che, da esperto dei fenomeni camorristici, ‘ndranghetisti e mafiosi, ventila l’ipotesi che questa intervista non sia altro che la riapertura di una trattativa di Cosa Nostra con lo Stato, e lo ha chiaramente detto domenica 10 aprile nel programma “Ma che tempo che fa” di Fabio Fazio, sulla TV3.
Tutti ricordano che qualche decennio addietro Cosa Nostra, tramite canali istituzionali e non, avviò con lo Stato una trattativa finalizzata ad allentare il regime del carcere duro, applicato in base al famoso art. 41.bis dell’ordinamento penitenziario, al quale sono sottoposti molti esponenti di Cosa Nostra, tra i quali anche quel Totò Riina che il figlio Salvo sembra venerare.
All’epoca per varie circostanze, tra le quali anche la resistenza degli organi del nostro Stato, quella trattativa non andò a buon fine, e Cosa Nostra si vendicò.
Il regine del carcere duro rimase in vigore e ancora oggi ad esso sono sottoposti numerosi delinquenti, compreso Totò Riina.
Ma Cosa Nostra non demorde e non perde mai di vista i suoi obiettivi, e Roberto Saviano ipotizza che l’intervista di Vespa a Salvo Riina sia il veicolo attraverso il quale si vuole far giungere a chi di competenza un chiaro messaggio per avviare una nuova trattativa.
E, se fosse così, la cosa sarebbe ben più inquietante dello “scandalo” suscitato dall’intervista.
In ogni caso visto che “Porta a Porta” non è mai stato utile a chicchessia, e che sarebbe stato più utile abolirla già da tempo, forse è finalmente giunto il momento di liberarsi di questo papocchio e del suo “prelato” Vespa, evitando in tal modo danni alla TV, all’informazione, al giornalismo e, se è valida la seconda inquietante ipotesi, eliminando anche un veicolo di ambiguità.