scritto da Mariano Avagliano - 04 Gennaio 2021 11:28

Riflessioni sul discorso di fine anno del Capo dello Stato: se il Re è Nudo

Roma – Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del messaggio di fine anno del 31 dicembre 2020. (Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Una parata regale avanza nella sua maestosità. All’improvviso un bambino, con il tipo coraggio che solo gli infanti hanno, esclama che il re è senza vestiti. Tutti si girano ed è effettivamente così, il re è nudo.

“I vestiti dell’imperatore” è una favola di Andersen scritta nel 1837 e attuale ogni volta che s’intende, concretamente e fatti alla mano, sottolineare la mancanza di una pubblica autorità.

Il discorso di fine anno del capo dello stato ha messo in evidenza, aldilà del valore alto dei contenuti, un’immagine sbiadita del nostro paese. Il presidente è apparso stanco, forse sfibrato dalle tante lotte intestine, con un nodo della cravatta largo, un’immagine insolita rispetto a precisione, stile, e cura a cui ci ha abituati.

Il presidente, nei mesi più neri della pandemia, ha rappresentato l’immagine più alta a cui nel paese si poteva fare riferimento. Ha incarnato, in tutta la sua persona, l’unità massima di cui il paese, in quel momento aveva bisogno.

L’immagine del Presidente che il 2 giugno dello scorso anno ha reso omaggio al Milite Ignoto, nella sua fermezza e distinzione è la rappresentazione migliore dell’ideale di dignità, unità e forza che il capo dello stato rappresenta.

Per questo motivo, abituati a questa immagine di riferimento, la sera del 31 dicembre 2020, nel discorso alla nazione, il re è sembrato nudo. Non per la persona o per la carica ma per lo stato del paese che ancora una volta è un contesto dilaniato da conflitti perenni e inestricabili dove tutti, alla fine, sono sempre contro tutti.

Non conta che sia Sud e Nord, conta dare addosso a chi di turno.

D’altronde, siamo un paese nato con e sulla divisione. Anzi, siamo stati divisi città contro città ancora prima di essere paese.

Nell’era dei comuni, epoca di massimo splendore, le città hanno fiorito perché erano tutte unite nell’ambizione di sopraffarsi tra loro. Firenze ha eccelso non per l’armonia con Milano ma, anzi, per diventare più grande, florida e bella della rivale.

Se, dunque, la nostra storia, nasce dalla divisione, quindi, è normale pensare che anche le nostre caratteristiche comportamentali di cittadini e collettività siano fatte della stessa materia. Ma c’è un limite che è rappresentato dal rischio di continua frammentazione che pende sul capo della nostra comunità. I grandi leader del nostro passato, il Magnifico per esempio per tornare ai Comuni, hanno usato la divisione come carburante e stimolo di competizione per la grandezza. Ed è questo che, da parte della classe dirigente, bisognerebbe riprendere piuttosto che soffiare sul fuoco.

Il re è nudo significa quindi che: siamo il Paese che ha la presidenza del G-20, siamo fondatori dell’Unione Europea, siamo paese leader a livello mondiale in settori strategici fondamentali tra cui, in primis, la cultura, e, soprattutto in questo momento, la medicina, e al posto di focalizzare sulle difficoltà del momento, enormi, scegliamo deliberatamente di sprecare le migliori risorse intellettuali e materiali in continue ed estenuanti divisioni.

Il problema del momento è non come facciamo a tirare avanti da qui a due mesi ma, invece, ci sarà la crisi di governo?

Il re è nudo, quindi, significa che se il capo dello stato appare pubblicamente, a reti unificate, con un’immagine più stanca rispetto a quella di forza a cui siamo abituati e tutti si limitano a riconoscere il valore dei contenuti, c’è qualcosa che non funziona.

C’è un’indifferenza di fondo che nuoce, gravemente, al senso di comunità che sta alla base del nostro vivere quotidiano.

Significa che, come succede con le malattie mentali più invasive e debilitanti, il malato è talmente identificato con la sua malattia che preferisce tenersi il dolore piuttosto che cambiare.

E non è un tema filosofico o morale, non è un qualcosa di distante anni luce da noi. È, invece, qualcosa che ha un profondo impatto sulla nostra vita, sulle relazioni, sulla capacità o incapacità di guardare con fiducia al futuro.

Di voler, fortissimamente, uscire anziché abituarsi a restare intrappolati non solo dentro casa ma dentro i soliti e “gambereschi” schemi del passato.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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