R-esistere in provincia
Ci chiedono di non andarcene dalle provincie, di resistere, ma come? Cellule di resistenza nelle provincie esistono ma a che costo?

Quanto segue è un racconto di r-esistenza in provincia, è un racconto personale, è il mio racconto. Sono Carlotta Catone, autrice di questo scritto. Non ho mai scritto un articolo in prima persona ma oggi era doveroso farlo. Nasco a Cava de’ Tirreni, cittadina campana della provincia salernitana. Come tutte le città della provincia italiane, specialmente del sud Italia, vive avvolta da quella retorica perbenista dal carattere borghese-cristiano che fa da padrona in ogni tipo di conversazione: dal caffè al bar, alle discussioni comunali. Cava era una città che anni fa vantava una resistenza artistico-culturale molto ampia, dando spazio ad artisti anche a livelli internazionali come Pink Floyd o i Dire Straits.
Sono anni però che a livello culturale c’è poco e nulla e gli unici eventi che esistono devono la loro vita a favoritismi e associazioni che collaborano con “il figlio/la figlia di”. Sono anni che per noi persone giovani questa città non ha da offrire nulla a parte la movida serale che risulta quasi come “l’oppio dei popoli”. Esci durante il weekend, bevi, ti muovi un po’ e sembra che vada tutto bene. Ma le iniziative sociali, politiche, culturali e artistiche? Luoghi aperti dove dare spazio a voci giovani, con idee innovative? Proprio da queste considerazioni inizia questa storia. Sono quella solita persona nata in provincia ed educata all’idea dell’andare fuori “vai via, qua non c’è nulla da fare”.
Questa idea per me diventa normalità e a 19 anni vado a Bologna dove ho studiato lavorato e vissuto fino a 26 anni. A Bologna ho avuto il privilegio del vivere e conoscere la grande città, nel bene e nel male. Ho respirato arte cultura e politica, preso parte ad iniziative di vario tipo, ho studiato, ricercato, sono cresciuta, ho avuto la possibilità di esprimermi (seppur nei limiti delle retoriche cittadine urbane, specialmente con la gentrificazione post pandemia, ma comunque retoriche imparagonabili a quelle che si vivono in provincia). Sono sempre stata attiva politicamente prendendo parte a diverse iniziative specialmente in ambito transfemminista attraverso varie collettive.
Ad oggi vivo e lavoro a Napoli, ho scelto di ritornare al Sud sia perché ho avuto la possibilità di farlo, ma anche come forma di resistenza politica. A Napoli vivo e respiro le stesse situazioni politico-sociali, artistiche-culturali, di Bologna se non di più. Mi sento libera, esprimo, sperimento e milito. L’attivismo transfemminista ha fatto si che piazze come 25 novembre, 8marzo e il pride fossero casa per me. L’anno scorso, a Bologna, sono stata una delle persone che ha firmato e quindi autorizzato la manifestazione dell’8marzo (diciamo non una piccola manifestazione, ma anzi una marea di migliaia di persone). Quest’anno sto prendendo parte all’organizzazione dell’8marzo qui a Napoli con amore, rabbia ed entusiasmo. Essendo il primo anno, da quando ho 19 anni, che sono vicina alla mia città natale mi piaceva l’idea di poter essere attiva anche sul territorio cavese e restituire finalmente alla mia città tutto quello che ho avuto il privilegio di imparare a conoscere fuori.
Qui la mia storia si intreccia con quella di un’altra persona Luisa Vitale, una compagna transfemminista anche lei di Cava. Luisa mi propone di organizzare qualcosa assieme in vista dell’8 marzo che, ricordiamo, non è la giornata della donna ma un giorno per manifestare la nostra rabbia sia come donne cis ma anche come persone che appartengono a tutta la comunità LGBTQI+. L’idea mi entusiasma e non poco così decidiamo di organizzare per il 9 marzo visto che l’8 c’è la manifestazione grande a Napoli alla quale prenderemo parte entrambe. Iniziamo a cercare persone che volevano essere coinvolte e buttare giù idee già durante le vacanze di Natale. Con molta calma, pensando di avere tantissimo tempo, decidiamo di voler fare un presidio in piazza Duomo nel pomeriggio con un banchetto e un megafono dando dei volantini. Comunichiamo tramite mail questo al Comune.
Per me, abituata a vivere piazze grandi e città metropolitane, era una comunicazione formale dalla quale non mi aspettavo neanche una sorta di permesso per via del fatto che attribuisco un permesso implicito a tali iniziative. A quanto pare, purtroppo, il Comune di Cava non ha il mio stesso pensiero. L’idea viene rifiutata dicendoci che non era stata fatta tramite un’associazione. La scelta di non fare tale richiesta tramite associazione è voluta, quello che Luisa ed io vogliamo portare in piazza il 9 marzo a Cava è un’idea di transfemminismo dal basso che non sia femminismo di seconda o terza generazione, ma, appunto, l’idea di un transfemminismo intersezionale che parta dal basso da noi, dai movimenti di piazza delle rivolte popolari di persone compagne in tutto il mondo. Abbiamo poi cercato, invano, posti che potessero ospitarci per un incontro/assemblea per parlare tra noi di questi temi. Disperandoci tra contatti, persone mai incontrate da dover chiamare, mail istituzionali, pec alla questura ci troviamo ad oggi a 5 giorni prima della fatidica data a non sapere cosa fare né dove e né quando.
Tutta questa storia lascia un amaro in bocca e a me, personalmente, molta rabbia e delusione. Ad oggi siamo sfiancate ma non arrese. Ci chiedono di non andarcene dalle provincie, di resistere, ma come? Cellule di resistenza nelle provincie esistono in tutta Italia e soprattutto al sud, ma a che costo? Quanto l’individualismo di tali cellule di resistenza e il fatto che debbano esistere come fantasmi per non attirare troppo l’attenzione va a discapito di una lotta mondiale e comune? Altre forme di resistenza in provincia, che invece si sono esposte e anche molto, mi viene da pensare al festival del Rockers calore, festival di musica e arte che aveva luogo sulle rive del fiume Calore nei pressi del paese di Castelcivita, sono state stroncate.
Perché tutto questo? Perché non abbiamo la possibilità di esprimerci liberamente nei nostri paesi di origine e siamo costrett* ad emigrare in città per avere, anche solo l’illusione, di poter fare qualcosa? La domanda cosa significa e come si resite in provincia mi tormenta da giorni. Ad oggi non mi sento di poter rispondere a questa domanda. Sicuramente né io, né Luisa né tante altre persone ci arrendiamo dinanzi ad un no, ma sicuramente, speriamo di poter vivere in un mondo di sì, in un mondo di provincie abitate e vive di cultura e arte.
Che questo articolo possa essere fonte di ispirazione e speranza.