Io la data del 4 marzo per le prossime elezioni non l’avrei scelta.
Ricordiamoci del 4 dicembre 2016, il giorno del referendum con il quale gli italiani erano stati chiamati a votare sulle modifiche costituzionali volute, quasi imposte, da Matteo Renzi, che le aveva fatto approvare dal Parlamento a suon di voti di fiducia, convinto che, alla fine, dalla consultazione referendaria fosse venuto fuori il voto favorevole degli elettori.
Fu un fiasco tanto clamoroso, quasi inaspettato, in quanto i sondaggi davano per scontata la vittoria, e anche nell’accesa campagna referendaria che aveva anticipato il voto, nella quale Renzi e gli altri membri del suo governo si erano impegnati quasi allo spasimo, sembrava che gli avversari, politici ed istituzionali, sarebbero usciti con le ossa rotte.
Purtroppo così non fu. Il referendum con una maggioranza bulgara diede torto a Renzi ed alla sua riforma costituzionale; Renzi ammise la sconfitta e con la coda tra le gambe si dimise assicurando che avrebbe tenuto fede all’impegno di non fare più politica, cosa che però non è avvenuta anche perché tantissimi gli hanno chiesto di non abbandonare la scena politica per l’ancora ampio consenso che riscuote, nonostante le scissioni. Inoltre, allora come oggi, è l’unico esponente di spicco del PD rimasto, ed è ancora un trascinatore e un grande comunicatore, doti che nel variegato mondo della sinistra italiana non facilmente si trovano: certamente non lo è Pietro Grasso, scissionista e leader di LeU – Libero e Uguali del quale fa parte anche Pier Luigi Bersani (transfuga dal PD del quale è stato cofondatore), Laura Boldrini e Massimo D’Alema; né Roberto Speranza, coordinatore di MDP – Movimento Democratico e Progressista.
Nella sinistra moderata, quindi, non c’è al momento un elemento della caratura di Renzi e, nell’ambito del PD non si vede chi possa prendere in mano le redini del partito: Matteo Renzi, checché se ne dica e nonostante le antipatie che inconsciamente sembra aver suscitato anche in quelli che dalla prima ora gli sono stati vicini, rimane comunque l’unico concreto punto di riferimento della sinistra moderata.
V’è poi il neopartito +Europa della ex Leader radicale Emma Bonino, indubbiamente schierato a sinistra ma che fa fatica a decollare, nonostante il prestigio della leader, e dovrà fare i salti mortali per conquistare un minimo risultato.
Ma se la sinistra, moderata e non, sembra piangere, non è che altri partiti o altri schieramenti ridono, nonostante i sorrisi stampati sui volti di tanti protagonisti – antagonisti, a partire dalla cosiddetta “destra” che schiera un pluripregiudicato condannato e impedito dal poter fare politica e assumere cariche istituzionali, quali il redivivo e incartapecorito Berlusconi; un leader leghista, Matteo Salvini, il cui unico programma è di uscire dall’euro e di cacciare agli immigrati; e Giorgia Meloni il cui programma non si discosta molto da quello di Salvini, ma che sembra più una figura di “spalla” che un protagonista politico.
E poi c’è il M5S, che fino a qualche tempo fa in tanti hanno considerato la forza politica vincente, ma che da qualche settimana sembra annaspare in conseguenza anche dei passi falsi fatti nella composizione delle liste, nelle quali sono entrati, è il caso di dirlo, “cani e porci”, personaggi “indegni” per precedenti condanne o per accertati violazioni di codici etici, impegni di partito e mancati esborsi; tant’è che il leader designato, Luigi Di Maio, pure tentando di darsi un contegno, sembra sempre più teso ed evanescente, e tenacemente si sottrae a qualsiasi confronto diretto con i leader degli altri partiti mostrando così di non sentirsi all’altezza non solo di governare il paese, ma nemmeno di reggere un confronto dialettico che potrebbe vederlo definitivamente fuori gioco, specialmente se avesse un interlocutore forte come un Renzi o un De Luca.
E’ appena il caso di ricordare che in una moderna democrazia nessuno si sottrae ad un pubblico dibattito; negli Stati Uniti d’America un comportamento simile avrebbe automaticamente messo fuori gioco il candidato che non avesse accettato il confronto, come fa Di Maio.
Vien quindi da dire, in conclusione, cha nessuno ride, tanti fanno finta di sorridere, alla fine probabilmente tanti piangeranno.
Ora tutti ostentano una sicurezza basata su chi sa cosa, ma tutti hanno comunque il grande timore di uscire sconfitti dalle urne: tutti dovranno fare, fra una settimana, i conti con il fatidico “4” che, se a dicembre di due anni fa ha portato sfortuna a Matteo Renzi, non è detto che nello stesso fatidico “4” del prossimo marzo porterà fortuna ad uno di essi, anche grazie a una legge elettorale, per molti aspetti incomprensibile e dagli imprevedibili risultati, che potrebbe condannare il paese ad una temuta ingovernabilità, con il rischio di dover tornare poco dopo a nuove elezioni, cosa che l’ Unione Europea fortemente teme, e che ci riporterebbe nel cantuccio destinato alle cenerentole del mondo occidentale.
Ecco perché, seguendo l’insegnamento del grande Totò, che scaramanticamente diceva “non è vero ma ci credo”, io la data del “4” non l’avrei proprio scelta.