C’è allarme nelle banche italiane. Dopo il terremoto delle quattro banche del centro Italia fallite alla fine del 2015, e la conseguente perdita dei loro risparmi di migliaia di clienti delle stesse, la notizia dei circa 300.miliardi di crediti di difficile recupero che le banche italiane hanno accumulato, e la entrata in vigore, all’inizio del 2016, del “Bail-in”, i depositanti, impauriti anche dalle altalenanti quotazioni di borsa delle azioni delle banche, stanno portando via i loro risparmi, non si sa ancora per dove.
Il colpo di grazia al sistema bancario italiano sembra averlo dato, quindi, la introduzione, appunto, del “Bail-in”.
Già nel mese di settembre dello scorso anno questo giornale ha ospitato una mia nota nella quale commentavo brevemente il “Bail-in” anticipando che la sua applicazione decorreva dal 1° gennaio di quest’anno, com’è avvenuto.
Pertanto dal 1° gennaio i clienti/depositanti delle banche italiane rischiano di dover contribuire con i propri depositi al risanamento della banca alla quale li hanno affidati.
Preliminarmente occorre fare un tantino di chiarezza sul significato dell’inglesismo “Bail-in”, che non può essere tradotto in italiano alla lettera, ma che, nel linguaggio “tecnico” sta a significare “garanzia interna”, cioè che la banca in difficoltà deve salvarsi da sola con il sacrificio degli azionisti, obbligazionisti e correntisti; teniamo in mente questa sequenza di “salvatori” sui quali torneremo più avanti. Il termine è il contrario di “Bail-out” che letteralmente sta a significare “garanzia esterna” o “tirare fuori dai guai” inteso nel senso che, se una banca va in dissesto, sarà un terzo (lo Stato o un’altra banca) a salvarla, com’è avvenuto fino a dicembre scorso.
Il “Bail-in” è stato imposto agli stati membri dall’UE con la direttiva 2014/59, che il nostro paese, come gli altri, è stato costretto ad applicare; questo va detto per fare chiarezza sulla responsabilità del nostro governo che non ha potuto farne a meno, ora, di adeguarsi. Poteva opporvisi all’epoca, vale a dire quando la direttiva venne emanata, ma probabilmente nessuno (non solo l’Italia) approfondì la questione e nessuno si rese conto dell’impatto devastante che avrebbe potuto provocare sul sistema bancario di ogni singolo stato membro.
Va anche detto che, fino a quella data, tutti gli stati membri erano intervenuti per salvare le banche in difficoltà (forse noi meno di altri) e tutti buoni, zitti e accondiscendenti: nessuno si ricordò che anche gli stati membri più prestigiosi, quelli che costituivano la guida dell’UE, avevano fatto man bassa delle risorse interne per salvale le loro banche in crisi, salvo poi, ottenuto il loro scopo, a pontificare che non era più possibile tutto ciò: dal che il famigerato “Bail-in” .
Chiarito tutto ciò, passiamo ora ad esaminare, con la brevità che lo spazio impone, l’applicazione e gli effetti pratici del “Bail-in”, non senza precisare che per quello che è accaduto alla fine del 2015 ai risparmiatori delle “famose” quattro banche del centro Italia, Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti, non è responsabile il “Bail-in”, che non era ancora in vigore; ma se pure lo fosse stato sulla sarebbe cambiato, poi vedremo il perché.
Con l’attuale regime, quindi, una banca in dissesto non potrà contare su nessun aiuto esterno, meno che meno quello statale, e dovrà provvedere a risanarsi esclusivamente con le proprie risorse, scaricando il dissesto sulla sua clientela.
Il “Bail-in” prevede una gradualità, nel senso che i primi a dover rispondere sono gli azionisti: e la cosa sembra ovvia in quanto chi possiede azioni di una società, sia che produca piatti di plastica, sia che commerci danaro, è consapevole di assumerne benefici e rischi, tant’è che i capitali investiti in azioni si chiamano, appunto, “capitali di rischio”: se qualcuno non è disposto a rischiare, non compra azioni.
Dopo gli azionisti, a rispondere del risanamento sono gli obbligazionisti, vale a dire coloro che hanno acquistato obbligazioni o bond (e ci risiamo con gli inglesismi) che sono quote di debito che una banca ha contratto con il mercato per finanziarsi; le obbligazioni sono titoli di credito un tantino meno rischiosi delle azioni, ma pur sempre titoli a rischio in quanto fondano il loro mercato sulla solidità degli emittenti e sulla fiducia che l’investitore ha verso l’ente o la società che le emette.
Le obbligazioni, già rischiose di per sé, lo diventano ancora di più se sono subordinate (come quelle vendute al risparmiatori delle famose quattro banche) giacché la loro rimborsabilità è subordinata, appunto, ad eventi legati alla buona e saggia amministrazione che deve costituire la vera garanzia per i loro sottoscrittori: buona e saggia amministrazione che nelle quattro banche purtroppo non c’è stata, tant’è che è finita come è finita.
I meno esposti ai rischi del “Bail-in” sono i depositanti, vale a dire coloro che hanno depositato i loro risparmi su un conto corrente o su un conto di deposito. Ma pure questi ultimi corrono qualche rischio, giacché se il risanamento della banca non si conclude con l’apporto degli azionisti e degli obbligazionisti, pure la restante clientela, e quindi anche i depositanti, sono chiamati a contribuire.
Ma, attenzione: in Italia, per fortuna, esiste un “fondo interbancario di garanzia” che costituisce una tutela per i depositanti fino all’importo di 100.mila euro; fino a tale cifra i depositi di ogni banca, pure se in dissesto, vengono garantiti, appunto, da questo fondo. Ovviamente il fondo non interviene né per gli azionisti, né per gli obbligazionisti, ma solo per i depositi che non superano i 100.mia euro.
Per tornare ai depositanti truffati dalla quattro banche del centro Italia, nessuno e niente, allo stato, può salvarli giacché, pure se inconsapevolmente, essi hanno acquistato quei prodotti “spazzatura” che vanno sotto il nome di “obbligazioni subordinate”, vale a dire quei titoli di credito ad altissimo rischio di cui ho parlato prima.
Cosa debbono fare i “piccoli” risparmiatori che si trovano ad avere, buon per loro, capitali che superano i 100.mila euro?
La stampa specializzata e gli esperti sono concordi nel suggerire che, prima di tutto, debbono affidare i propri risparmi a banche solide che offrano la maggiore garanzia possibile e, in secondo luogo, di dividerli tra più banche in maniera da non superare mai, presso una stessa banca, il limite suddetto.
E, per concludere, voglio tornare a quanto ho detto all’inizio, e cioè sulla paura dei risparmiatori, che si sta trasformando in fuga dalle banche dalle quali molti stanno portando via i loro depositi: è una soluzione non solo poco opportuna, ma anche rischiosa, giacché questi fondi, a meno che non si intenda tenerli “sotto il materasso” (soluzione anche questa che comporta indubbi rischi), non si sa dove andarli a collocare, giacché tutti sono soggetti al “Bail-in”; né è pensabile altra forma di investimento, giacché l’unica garanzia, quella costituita dal “fondo interbancario di garanzia”, opera esclusivamente per i fondi in conti correnti o in conti di deposito.