La maledizione d’origine di questo governo colpisce ancora: la maggiore forza politica, uscita dalle urne, vale a dire il M5S, è stato creato da un comico e il governo si sta trascinando questa impronta tant’è che proprio ieri, a rappresentare il nostro Paese all’Unesco, è stato designato Lino Banfi, anch’egli comico; nulla da dire di Banfi come comico, ma pur sempre un comico rimane, e francamente farci rappresentare da un comico mi sembra tutt’altro che serio.
Come d’altronde è tutt’altro che serio che un grande genio della economia e della finanzia, che fa parte del nostro governo, sostiene ancora che l’Italia è in crescita, e che le notizie che ci giungono dalla Banca d’Italia e dal Fondo Monetario Internazionale sono tutt’altro che veritiere.
Chi parla di queste cose, specialmente se governa un paese, dovrebbe conoscere almeno l’abc dell’economia, della finanza, aver impiegato qualche nottata sui relativi testi prima di dire sciocchezze e spacciarsi per grande statista solo perché, guidato da un comico, ha avuto la fortuna di avere qualche milioncino di voti di elettori delusi (stavo per dire “sco……”, ma non è politicamente corretto) dai precedenti governi; elettori che hanno sperato che qualche politico giovane, ancora non toccato dal potere logorante (pure se il Divo Giulio asseriva che il potere logora chi non ce l’ha!), avrebbe potuto dare veramente una sterzata al modo di governare il paese.
Purtroppo, questi elettori hanno fatto due errori: il primo è di ripetere l’esperienza già fatta con Berlusconi, che in circa un ventennio ha portato il paese sull’orlo del baratro; e Berlusconi almeno come imprenditore aveva dimostrato di saperci fare; ma il privato è tutt’altra cosa, e questo lo avevano capito in pochi; ma in confronto agli attuali ignorantelli ha dimostrato di essere in gigante.
Il secondo errore, molto più grave, è stato quello di eleggere persone che non hanno mai studiato, mai lavorato, degli ignorantelli sfaccendati i quali improvvisamente, probabilmente senza nemmeno sperarci troppo, si sono trovati a governare un paese difficile e complesso, come il nostro, senza avere il tempo di prepararsi, né avere l’umiltà di chiedere aiuto ai tecnici i quali sono stati emarginati, dileggiati, intimiditi; e parliamo di personaggi al livello di Mario Draghi, di Sergio Cottarelli, di Ignazio Visco (senza tralasciare lo stesso Ministro Tria che ha dovuto fare i salti mortali tra Roma e Bruxelles) per citarne solo alcuni dei quali in questi giorni si parla: senza tener conto di quelli delle strutture burocratiche dello stato.
Non si pretende che il politico-governante sappia tutto, ma una infarinatura della struttura dello stato e delle regole da rispettare deve averla, cosa che a questo governo manca.
Ma checché ne dicano gli ignoranti che ci governano (ignoranti nel senso che ignorano) c’è purtroppo una incontrovertibile realtà alla quale dobbiamo arrenderci, e cioè che il nostro paese, faticosamente ripresosi negli anni scorsi, è oramai in recessione o sta sul punto di esserlo; se lo dice la Banca d’Italia e lo conferma il Fondo Monetario Nazionale, e questa mattina anche l’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, vale a dire la più importante organizzazione mondiale di studi economici), dobbiamo purtroppo crederci.
Nelle allegate tabelle pubblicate negli ultimi giorni vi sono dati ufficiali.
Dai questi dati si evince incontrovertibilmente quanto segue.
Il nostro è uno dei pochi paesi nel mondo a crescere di meno; a fronte di una previsione di crescita del Pil che va dal +7,5/7,7 dell’India, +6,2 della Cina, con una media globale di +3,5/3,7, l’Italia si colloca al livello di +0,6/0,9.
Le previsioni di crescita variano da un +0,6 di Bankitalia a un +1,00 del FMI, secondo la tabella pubblicata proprio dalla Banca d’Italia il 18 gennaio, la quale, nel bollettino economico per il triennio 2019-2021, precisa pure che l’aumento dello 0,6 di quest’anno è inferiore di 0,4 punti rispetto alle valutazioni precedenti.
Alla previsione in calo concorrono i dati sfavorevoli sull’attività economica evidenziati negli ultimi mesi del 2018, che si ripercuoteranno sulla crescita di quest’anno, in un contesto di decrescita che interessa tutta l’eurozona, con il ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese che determineranno il rallentamento del commercio mondiale.
Per gli anni 2020 e 2021 le previsioni di crescita del nostro paese sono attualmente del +0,9 e del +1,00 per cento; il rapporto debito/pil salirà per il 2018 al 131,7 per cento, dovrebbe ridursi al 130,7 per cento entro la fine del 2019.
Tali dati negativi vanno inevitabilmente ad impattare sulla travagliata manovra di bilancio, faticosamente varata a seguito di un lungo braccio di ferro con la Commissione Europea la quale, solo a seguito delle vicende che hanno coinvolto la Francia in una tragicomica vicenda economica e sociale tra il governo di Macron e il popolo francese rappresentata dalla protesta delle cosiddette tute-gialle ancora in corso, ha costretto il Ministro europeo dell’Economia europeo, Pierre Moscovici (ora è Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, ma in precedenza è stato ministro degli Affari Europei (1997-2002) e Ministro dell’Economia e delle Finanze (2012 al 2014) nei governi francesi, quindi uno che di economia e finanza se ne intende) a mollare la presa e ad accettare le pretese italiane di finanziare la manovra in deficit, accogliendo la tesi della imminente crescita del paese che avrebbe compensato le previste maggiori spese.
Moscovici, infatti, ha dovuto mollare proprio per effetto di ciò che stava accadendo in Francia allorquando Macron, per sedare le proteste del popolo francese per il prospettato aumento dei carburanti, non solo ha dovuto rinunciare, ma ha dovuto concedere alla popolazione benefici economici aumentando il debito pubblico; questo ha fatto il gioco del nostro governo.
In larga parte la nostra manovra si basa sulle stime di crescita le quali, già non erano rosee durante i mesi scorsi, ma che comunque prevedevano che la nostra economia crescesse in un certo modo; in virtù di ciò eravamo riusciti a convincere l’UE che quel rapporto tra il deficit e il Pil, fissato precedentemente all’ 1,6%, elevato nella nostra bozza al 2,4%, successivamente ridotto al 2,04%, fosse corretto.
Ma se la prevista crescita non ci sarà, e sembra proprio che non ci sarà, la conseguenza è la indispensabile revisione della legge di bilancio, già sotto stretta sorveglianza dell’UE e condizionata da rigide clausole di salvaguardia.
Probabilmente, se non fosse stata approvata dal nostro Parlamento “a scatola chiusa”, non essendoci stato nemmeno il tempo di poterla attentamente valutare sia dalle competenti Commissioni sia dalle Aule, una lettura meditata avrebbe potuto modificarla e migliorarla: ma oramai è passata, ed è sintomatico che, oltre ad essere strettamente monitorata dalla UE, è anche sotto la lente della Ragioneria Generale dello Stato che non si è ancora pronunciata definitivamente in proposito.
In conclusione, non solo siamo messi molto male, ma i tecnici oramai non fanno più mistero della considerazione in cui tengono il Vice-premier Di Maio e Co.: basta guardare l’espressione quasi divertita di Carlo Cottarelli nella trasmissione di Giovanni Floris di martedì 22 gennaio 2019: più comico di così!