scritto da Mariano Avagliano - 21 Dicembre 2020 11:05

È ora di finirla

La pandemia, ci ha infantilmente abituato a una dimensione surreale che, per pura pigrizia, abbiamo confuso con la realtà, tangibile, delle cose.

Senza nulla togliere al virtuale, l’esperienza che ci arriva dai Cinque Sensi è qualcosa che da quando nasciamo plasma il modo in cui viviamo.

Nove mesi fa, quando ci siamo dovuti barricare dentro casa a tutti i costi, siamo stati, giustamente, entusiasti di provare a trasformare “in virtuale” quello che fisicamente, per forza maggiore, non potevamo fare.

E questo, senza che ce ne rendessimo veramente conto, ha trasformato le nostre abitudini di vita.

Il lavoro, ad esempio, è l’ambito che, forse più di tutti, ha subito una trasformazione radissima e inaspettata. Nei primi mesi della pandemia tutti, ma proprio tutti, sbandieravano il proprio entusiastico “si, lavoro in smart working”.

Era anche una questione di valori, forse, e cioè che, nella prima fase della guerra contro il virus, ispirati dall’eroico lavoro di medici e infermieri, ciascuno si sentiva anche in dovere di contribuire con il proprio lavoro.

Addirittura, la pubblica amministrazione, cosa mai vista nella storia recente ha scommesso sul virtuale, ha scommesso sulla modalità organizzando incontri online e spingendo i dipendenti a lavorare da casa.

La trasformazione vissuta dalla concezione del lavoro è l’emblema di un Equivoco che si è espanso alle altre dimensioni del quotidiano.

Dopo nove mesi, per onestà intellettuale, dobbiamo riconoscere che il Virtuale, per quanto utile e funzionale, è quello che è ovvero uno Strumento e per quanto tale non può sostituire e nemmeno specchiarsi con la vita reale dell’esperienza e del contatto.

Sebbene dalla storia dell’evoluzione emerge chiaramente che l’essere umano l’abbia sempre scampata grazie a una straordinaria capacità di adattamento, superiore di gran lunga a tutte le altre specie viventi, c’è da riconoscere che l’Umano si definisce solo in base una concatenazione di elementi che sono, innanzitutto, fisici.

Il nostro cervello, per esempio, si attiva con velocità ben superiori quando viene stimolato dalle percezioni di più sensi o si trova di fronte, vis a vis, a un altro cervello con cui entra in sintonia. Non è un caso se alcune delle più grandi invenzioni siano nate da scambi, relazioni e contatti reali e non da video-conferenze.

La sostanza dell’Equivoco è che abbiamo pericolosamente confuso il reale, fatto di elementi quasi infiniti non controllabili, con un triste surrogato in scatola.

E questo equivoco genera un sonno che, come diceva qualcuno, può generare “mostri” non controllabili.

La trasformazione della concezione lavoro, ad esempio, oltre agli aspetti positivi ha dato vita a una pericolosa deriva: si parlava dello “smartworking” come nuova dimensione di “liberazione del lavoratore” ma in realtà con questa confusione tra reale e virtuale è il lavoro ad essersi liberato della vita privata fagocitando spazi che poco tempo fa erano del tutto inviolabili.

Marx, urlante, direbbe che “il capitalismo, nella sua vorace smania di conquista, dopo aver utilizzato il pesante grimaldello della libertà individuale per smantellare l’ancien regime, si espande trasformando l’individuo in un automa sempre connesso e pronto, su richiesta, al servizio”.

Sarebbe troppo estremo, ovviamente, e anche troppo facile leggerla in questo modo ma bisogna evitare l’equivoco.

Non è la prima e non sarebbe nemmeno l’ultima volta che prendiamo cantonate: la nostra storia di esseri fallibili ne è cosparsa.

Piuttosto che immaginare ed enfatizzare la nostra vita “in virtuale” sarebbe ottima cosa allargare il campo visivo verso quello che verrà dopo questa parentesi, di Morte Nera, della pandemia.

Innanzitutto provando a stare nel mezzo tra chi spera nella Salvezza assoluta del vaccino e chi, invece, prevede un futuro di morte e distruzione.

Poi, dopo tutto quello che abbiamo passato in questi mesi, sarebbe ora di smettere di confondere il virtuale con il reale. Sarebbe ora di mettere da parte i tecno entusiasmi e guardare in faccia al Presente.

Sarebbe, veramente, ora di finirla.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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