Coronavirus, Fase 2: la catarsi se “Nessun dorma”
La fase due preannunziata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, prefigura la ripresa di alcune attività in parallelo alla convivenza con il Covid-19.
Il che lascia intendere che si stia lavorando su linee guida di accompagnamento non solo di ordine sanitario, ma anche sulle emergenze e relativo bilanciamento con le priorità necessarie per riavviare il sistema produttivo del Paese.
Per la tutela della salute il Governo si atterrà, come più volte ripetuto da Conte, salvo integrazioni dei Governatori delle Regioni, alle indicazioni fornite da un Comitato tecnico-scientifico formato da esperti del settore. Non è dato sapere, al momento, la fonte dei suggerimenti da intraprendere in altri settori. Nello specifico l’assunzione di responsabilità politiche non può prescindere dall’ascolto non solo di esperti ma sopratutto degli operatori che hanno conoscenza diretta del mondo del lavoro e della produzione e dell’universo di attività, che concorrono alla formazione dell’economia nazionale. Se ne avverte la necessità anche a livello tecnico e scientifico al fine di capire dove e come allocare le risorse.
Sul loro utilizzo si giocano la risalita del Paese, la tenuta sociale delle sue comunità e la credibilità dello Stato nei confronti dei suoi creditori. Su quest’ultima voce, nel confronto con le istituzioni europee, resta da decifrare se dietro la incomunicabilità che ha reso tesi i rapporti tra Bruxelles e Roma pesi di più l’ortodossia dei trattati usurati dal tempo o la diffidenza dei partner d’oltralpe verso pratiche pregresse e in parte preannunciate dell’uso di risorse senza costrutto in termini di sviluppo economico e crescita sociale.
Si tratta di un punto di svolta per argomentare le traiettorie della seconda fase oltre la quarantena sanitaria. E’ il passaggio più critico nel momento della presa di coscienza dei danni affettivi patiti e della necessità di proseguire le limitazioni delle relazioni sociali anche in un contesto di ripresa su cui pende un cambio forzato di abitudini e forse di stili di vita.
La metafora del dopoguerra è immaginifica ed è funzionale alla rappresentazione di uno spirito di riscossa e di unità nazionale, ma non esaurisce gli interrogativi posti da una realtà da vivere che si prospetta più povera, per disponibilità di beni materiali, di quella devastata.
La liquidità di risorse finanziarie poste a disposizione di imprese e persone ne garantisce la sopravvivenza ma non scioglie il nodo della selezione delle attività compatibili con gli assetti che andranno a determinarsi nel dopo coronavirus.
Lo slogan “nulla sarà come prima” è forma comunicativa di un cambiamento di cui non si ha certezza o un modo di mettere le mani avanti da parte dei decisori politici?
Il dato al momento certo è il disvelamento delle contraddizioni del paese reale e della fragilità delle sue istituzioni a governarne le criticità: oggi investigate e prima neglette anche dai media. E’ venuto al pettine il sommerso che, al di là di qualsiasi valutazione di ordine moralistico, ha fatto da stampella alla tenuta sociale ed economica del paese reale.
Ne usciremo migliori? Più che uno slogan di conforto è la catarsi che ci si aspetta nella politica e nella vita sociale dopo avere vissuto un pericolo, perché “là dove (esso) c’è, cresce ciò che salva” (Friedrich Holderlin). Detto con l’enfasi delle note pucciniane del “nessun dorma” c’è sempre un’alba da cui ripartire per vincere.
Il paese reale ha mostrato di avere forza e convinzione per farcela. Ci si aspetta altrettanta determinazione dai decisori della politica che dà sostanza alla governabilità.