scritto da Eugenio Ciancimino - 20 Marzo 2023 09:04

75 anni di Costituzione tra affanni ed inciampi della politica

foto tratta dal sito del Quirinale

“Non sempre il tempo la beltà cancella. O la sfioran le lacrime e gli affanni; mia madre ha sessant’anni, E più la guardo e più mi sembra bella”.

La nostra Costituzionale ne ha quindici in più della mamma di Edmondo De Amicis, e con tanti inciampi, sofferenze e ferite. Bella nella prima parte dei principi fondamentali, dei diritti e doveri e dei rapporti etico-sociali e politici, logorata dal tempo nelle architetture operative dell’ordinamento e dell’organizzazione istituzionale dello Stato.

Redatta ed approvata dall’Assemblea costituente, liberamente eletta dal popolo in contemporanea alla scelta referendaria della Repubblica celebrata nel1946, essa “chiude e conclude una pagina di storia e ne apre un’altra”: copyright dell’On. Prof. Egidio Tosato tratto dalla prefazione al testo stampato nel 1961 a cura del Ministero della Pubblica Istruzione e distribuito agli studenti delle scuole superiori.

Una consuetudine da rimarcare per un’estesa e capillare conoscenza della Carta fondamentale della Repubblica spesso citata in manifestazioni pubbliche, e non sempre richiamata in maniera adeguata per rivendicazioni di diritti negati o sospesi o per motivi pretestuosi, se non prevaricanti  nell’attualità delle odierne competizioni politiche.

Sullo sfondo storiografico ci sono il fermento e la passione dei costituenti nella lotta per la liberazione dal regime dittatoriale fascista e l’ispirazione per un nuovo modello di convivenza politica, civile e sociale fondato sul libero pensiero del popolo sovrano. In cima ai loro pensieri si legge la prefigurazione di una Repubblica aperta a idee e forze leali nei comportamenti verso le istituzioni.

Se ne colgono il senso e lo spirito nello stesso contenuto della norma transitoria che vieta la ricostituzione del P N F. Come dire che il discrimine di compatibilità democratica contemplato nella Carta degli italiani non può essere “l’anti”, permanente a prescindere, ma la “lealtà” dialettica fra diversi, per identità culturale, e coerente con i valori della Repubblica, avendo i padri costituenti immaginato la politica come luogo di assunzione di responsabilità e non di negazione di diritti. Su questi orizzonti va letto il cammino della sua osservanza ed attuazione diversamente lineare ed accidentata.

Nel primo trentennio, quello della Repubblica dei partiti, improntato sul primato della politica, si inscrivono sia la stagione delle riforme sociali, civili ed istituzionali, e dell’intervento speciale per il Mezzogiorno e pubblico negli apparati industriali, produttivi ed energetici, ma anche le tensioni contro insorgenze di stampo terroristico e/o eversivo di natura politica o mafiosa e/o golpista.

Nel seguito, fino all’esaurimento della cosiddetta  prima Repubblica, si incominciano a leggere i segni dello smarrimento della partitocrazia rispetto all’originario spirito costituzionale a fronte di mutati rapporti ideologici, dopo la caduta del muro di Berlino, e con l’incalzare di altri poteri, interni ed internazionali, alieni nella sfera della democrazia fondata sulla sovranità popolare. Perciò, sul punto vanno ricordati la dissolvenza degli storici partiti di massa, la cancellazione, per via giudiziaria, della relativa dirigenza politica ed il sopravvento del capitalismo  finanziario su quello imprenditoriale della produzione che ha alterato il rapporto con il mercato dei diritti del lavoro e di forza con le istituzioni rappresentative e di governo.

L’ultimo trentennio, “mascariato” e condizionato da indagini giudiziarie, si è distinto per convulsioni ideologiche e paradigmatiche, passando dal bipolarismo elettorale al consociativismo parlamentaristico fino alla chiamata, per ben tre volte, per la guida e conduzione del Governo di figure esterne alla politica non filtrate attraverso il voto in consultazioni popolari.

È iniziato con l’esperimento elettorale impostato su un bipolarismo maggioritario con indicazione, a Costituzione invariata, del candidato Premier; si è infranto nel 2011 e dal quello scorcio di legislatura, ed in prosieguo nelle due successive, alchimie emergenziali e sgambetti di Palazzo hanno ridotto o spogliato il ruolo originario del Parlamento, soppiantandone volontà ed indicazioni espresse dai mandati elettorali.

Si capiscono assenteismo dalle urne, indifferenza, disaffezione e contestazione nei confronti del mondo della politica, ma la sua rigenerazione, come tutti i fenomeni umani, non casca dal cielo, passa attraverso una logica di sistema coerente con il disegno costituzionale in sintonia con bisogni e contesti contemporanei.

Non si tratta di stravolgere il lavoro dei padri costituenti ma di procedere alla manutenzione delle architetture della loro bella opera d’arte per liberala e preservarla dai tarli che ne pregiudicano valori e fruizione.

Sul tema si discute da decenni con già due proposte esitate dal Parlamento che non hanno superato lo scoglio referendario.

Ora il Governo in carica ha riaperto il cantiere su un’idea “nova et vetera” di presidenzialismo (già dibattuta nell’Assemblea costituente) emendabile e da costruire sulla conservazione dell’identità dell’impianto della Carta del 1948 e sulla necessità funzionale di una ideazione operativa di futuro.

Buona fortuna.

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