In Sicilia si usa definirlo “jocu a futti cumpagni”
Il clamore su “Il Mondo al contrario” del Generale Roberto Vannacci ha suscitato una varietà di reazioni configurabile in una sorta di caleidoscopio di figure del mondo della politica e non, per i cui comportamenti, ciascuna di esse non sfuggirebbe alla classificazione di Leonardo Sciascia in uomini, mezzi uomini, ominicchi, e quaquaraqua.
Si tratta di una pubblicazione in cui sono contenute riflessioni che per alcuni rispecchiano pensieri omofobi e razzisti, mentre per l’autore sono delle normali constatazioni.
I contestatori lo accusano di avere intaccato i principi fondanti di “pari dignità” statuiti nell’Art. 3 della Costituzione e di avere disatteso obblighi di immagine e responsabilità che attengono ad un rappresentante dell’Esercito.
Lui, pluridecorato per servizi resi in missioni, ha precisato e ribadito di aver rilevato delle situazioni anormali e rivendica “il diritto di manifestare il proprio pensiero” (Art. 21 della Costituzione).
L’incrocio dei due principi affermati nella Carta fondante della nostra Repubblica è all’origine del caso sul quale è intervenuto, in prima battuta, il Ministro della Difesa Guido Crosetto, investendo le competenti autorità militari ad avviare procedure e verifiche relative ad eventuali profili compatibili con le funzioni di un rappresentante istituzionale dell’Esercito.
Un atto dovuto o precauzionale, certamente necessario per far chiarezza con e sulle carte.
In seconda battuta, dallo Stato maggiore dell’Esercito è arrivata la rimozione del Generale Vannacci dal comando dell’Istituto geografico dell’Esercito, ma non è bastato per la sinistra che si ritiene depositaria dell’interpretazione autentica della Costituzione. La notizia, nell’era del web, non poteva non avere un’estensione e propagazione virale, così come le estrapolazioni di frasi ne hanno alimentato il chiacchiericcio sui social, dando fiato alle trombe delle tifoserie contrapposte.
La dialettica, si fa per dire, impostata su pollice verso o alzo, su crocifiggi o assolvi, appartiene ad una antica cultura dell’arena o della piazza ma non fa al caso della “conciliazione fra diritto di espressione e diritto a non essere discriminati e molestati” che “è politicamente possibile”, secondo una riflessione, sul Corriere della Sera, di Maurizio Ferrara. Ed opportunamente specificava: “solo se esiste un qualche terreno culturale comune, un insieme di norme condivise dai cittadini sui nodi ammissibili di confronto pubblico”.
Nell’attuale scenario politico i nodi sono tanti, ma questo, meno avvertito dalla generalità dei cittadini alle prese con il carovita, salari e tasse, sembra soddisfare solo furbizie elettoralistiche in vista delle consultazioni europee del 2024. Alle dotte disquisizioni sul diritto di opinione rivendicato dal Generale ed il limite che gli deriverebbe dall’onore delle Stellette, è subentrato il tormentone su un suo possibile ingresso in politica.
“Sono un soldato”, “non chiudo la porta a nessuno se mi vengono dati gli strumenti”: sono le sue risposte alle chiamate ricevute” tanto che gli “si è fuso il telefono”, da lui sottolineato. Come dire sono una etichetta.
Per simboli e valori, piace al popolo della destra e segnatamente all’elettorato ex missino, nei cui confronti Matteo Salvini intende appostare un’OPA, mentre nel campo opposto solleva l’indignazione delle élite di cui la sinistra si avvale nell’influenzare i mass- media: quella che Marcello Pera assimila ad una sorta di “cupola del pensiero unico”.
In termini di appeal elettorale e di concezione della società si capiscono iniziative e propaganda di contrasto, lealmente assunte nei confronti di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: è normale. Ma non lo è il linguaggio di un vicepremier che produce fibrillazioni nella compagine governativa e lancia la lenza nella comunità storica e politica della Premier. Questo genere di comportamento in Sicilia si usa definirlo “jocu a futti cumpagni”.