scritto da Eugenio Ciancimino - 07 Ottobre 2022 09:59

Dopo il voto, terremoto politico elettorale a destra ed a sinistra

Dopo il voto, terremoto politico elettorale a destra ed a sinistra

foto tratta dal profilo Fb della Camera dei Deputati

I risultati usciti dalle urne combinati con la crescita dell’astensionismo configurano un terremoto politico i cui sommovimenti sono secondi nella storia repubblicana, dopo i dati del 1994 che hanno segnato il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.

Allora il consenso ha premiato un soggetto politico, Forza Italia, nuovo e diverso, per forma ed ispirazione, dall’universo partitocratico dominante dal 1948. Mentre l’esito targato 2022 conferisce per la prima volta la patente di guida del Governo del Paese ad una espressione della destra politica, FdI, già radicata per cultura e simbologia nell’esperienza repubblicana, e che ora può anche contare su una delle maggioranze parlamentari più ampie.

La sua ascesa in termini di flussi elettorali si presta ad una doppia lettura: una interna alla coalizione per avere catalizzato la mobilità di empatie provenienti dagli alleati, Lega e FI, e l’altra politica nel confronto con i competitori, prevalendo nel discorso pubblico sulle ambiguità del centrosinistra a guida PD, alleato con SI/Verdi e + Europa, e neutralizzando la sortita, mal riuscita, del cosiddetto terzo polo di Azione/ItaliaViva.

Il contesto in cui si è rivelato il responso elettorale si completa con il dimezzamento del M5S, la cui restante parte rispetto al 2018 ha preferito il non voto, a parte piccole frange di trasmigranti. A risultati acquisiti, la maggioranza degli elettori che si sono recati alle urne non ha abboccato alle suggestioni di una sorta di referendum pro o contro la permanenza di Mario Draghi o di un suo surrogato a Palazzo Chigi,  non ha recepito, come prioritarie, le pregiudiziali antifasciste richieste a Giorgia Meloni per tutta la campagna elettorale e non ne ha avvertito il rischio di avventure autocratiche, attribuitele per via della sua proposta di riforma costituzionale per l’elezione diretta e popolare del Presidente della Repubblica.

Su questa tipologia di confronto e scontro imbastiti sulla delegittimante dell’avversario si inscrive la supponenza del PD per genealogia antifascista ed esperienza di pratiche di potere, ma ci ha rimesso credibilità come forza politica più accreditata di riferimento nell’area di centrosinistra, per contrastare il centrodestra a trazione  FdI. Ed è la seconda volta consecutiva che, pur cambiando leadership, fallisce il primato dei consensi elettorali, essendo risultato soccombente anche nel 2018 a seguito dell’exploit del M5S.

Si capisce l’aria di ripensamento che tira, al suo interno, di resa dei conti per aver perso il confronto con il centrodestra e la primogenitura della rappresentanza dei tradizionali ceti della sinistra, contesi dalla rimonta del M5S condotta da Giuseppe Conte, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle aree di disagio sociale delle periferie urbane. Sono temi che stanno impegnando gli organi del partito, anche con forti dosi di autocritica, che vanno oltre le ipotesi di candidature per un cambio di guardia attraverso un restyling congressuale.

Si tratta di qualcosa di più della rifondazione o ricomposizione in un unico contenitore di esperienze e culture politiche diverse, la cui fusione non sembra essere arrivata a compimento. Voci di dentro sollevano questioni d’identità: smarrita, da ritrovare o ricostruire almeno per rispetto della comunità  di uomini e donne che si riconoscono nei valori del pensiero politico della sinistra.

È il nodo da sciogliere per un partito percepito nell’ultimo decennio come strumento e dispensatore di potere. Ed è ora se non quando per uscire dalle ambiguità di possibili traccheggi parlamentari aspettando di riprendere ruolo di governo? Ossia  Godot?

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