Conti pubblici e dilettantismo dei bonus
Si tratta di un tema di pregressa attualità divenuto dirompente nel confronto politico andato in scena a seguito del decreto del Governo che
Qual è il livello di compatibilità dei bonus con la tenuta dei conti pubblici? È un quesito politicamente impegnativo, al di là dei colori di appartenenza, per chiunque sieda a Palazzo Chigi e sia chiamato a redigere un documento di economia e finanza dello Stato.
Medesimo esercizio si pone per gli amministratori locali e regionali, in sede di formulazione dei rispettivi bilanci di competenza, nei confronti dei quali non mancano ripetuti richiami delle magistrature contabile ed amministrativa.
Così come partiti e sindacati, investiti dalla rappresentanza di interessi collettivi e bisogni diffusi, sono chiamati ad orientare e calibrare reazioni e rivendicazioni nel rispetto degli equilibri fiscali dello Stato, Comuni e Regioni, pur mantenendo atteggiamenti di contestazione, legittima (ci mancherebbe!), nei confronti dei rispettivi Governi pro tempore. Perché, qualsiasi meccanismo che mini la sostenibilità della finanza pubblica non può che essere rovinoso per l’intera collettività nazionale; perciò non negoziabile con vertenze di settore e/o categorie sociali e tanto meno in termini di scambi o ritorni elettorali.
Si tratta di un tema di pregressa attualità divenuto dirompente nel confronto politico andato in scena a seguito del decreto del Governo che pone fine al credito di imposta con possibilità di cessione ad intermediari finanziari, come previsto ed attuato con il cosiddetto superbonus del 110% per interventi di ristrutturazioni in edilizia privata.
Per chi lo aveva concepito voleva essere una sorta di idea kenyseniana di investimento pubblico per attivare sviluppo in economia e lavoro e, nella fattispecie, agevolare anche il processo di transizione ecologica.
Tutte buone intenzioni, ma con prevedibili aspettative mal poste in un mercato immobiliare drogato che avrebbe favorito, come di fatto è accaduto, i ceti abbienti a spese della collettività dei contribuenti. Dunque, un danno di giustizia sociale, avendone usufruito, prevalentemente, i possessori di appena l’uno per cento dell’intero patrimonio immobiliare del Paese, con annesso rischio default finanziario dello Stato per eccesso di debito rispetto al PIL, sotto osservazione da parte delle autorità comunitarie europee.
Sul punto si attende il parere dell’Eurostat. Da ciò si comprende la necessità di sgonfiare una bolla di moneta fittizia di crediti di imposta che, furbescamente, sfugge alla manovra dello spread, ma fa debito sotto qualsiasi forma e sottrae risorse per interventi in altri settori di maggiore impatto sociale, come sanità ed istruzione, e per lo stesso versante immobiliare, quello pubblico che riguarda soprattutto scuole ed ospedali.
Ora per porre riparo alle distorsioni, la prima emergenza è come disincagliare la massa di crediti che le imprese dei settori dell’edilizia devono incassare.
L’argomento è oggetto di incontri con operatori finanziari e del comparto dell’edilizia attivati dall’attuale Governo, presieduto da Giorgia Meloni, che ne ha ereditato le relative problematiche. Al di là dei tecnicismi corredati da dati numerici interpretabili secondo appartenenza politica o convenienza elettorale, va messo sotto accusa la prassi legislativa dilettantistica dettata da una demagogia di cui la politica dei bonus è la migliore interpretazione.
Si comprendono le rimostranze contro il loro smantellamento attivate da esponenti del M5S promotori del reddito di cittadinanza per “abolire la povertà” e del superbonus per ristrutturare le case “gratuitamente” (Totò nella veste di pantalone avrebbe commentato: ed io pago).
Appaiono, viceversa, fuorvianti sul senso della politica dei “bonus” i rilievi sollevati anche da altre forze partitiche, nei media ed in Parlamento, limitatamente alle diverse posizioni pronunziate da Giorgia Meloni nella duplice veste di leader dell’opposizione, prima, e da Premier, dopo.
Sanno molto di carenza di lettura degli eventi che cambiano la realtà e fanno la storia, di cui i bravi operatori della politica dovrebbero prendere atto.