Aperti cantieri per le politiche 2023
Aperti cantieri per le politiche 2023
La volatilità del consenso elettorale, se non irride, fa da controcanto al cimento dei facitori di alleanze prefigurate o costruite a tavolino.
Acquisiti i risultati delle ultime amministrative ed in attesa del loro completamento con i ballottaggi, i loro promotori sono già al lavoro in funzione di possibili aspettative da cogliere nelle prossime consultazioni politiche.
I cantieri sono aperti sia nel centrodestra del triangolo FdI-Lega-FI, alle prese con il riequilibrio dei rapporti di forza interni alla coalizione, sia nel centrosinistra che ha da recuperare, nel cosiddetto “campo largo” auspicato dal Segretario del PD Enrico Letta, alleanze elettorali competitive e politicamente omogenee.
In entrambi i campi si dovranno fare i conti con l’astensionismo e con un mutato quadro politico generale battuto da venti di scissioni nel M5S e da spinte verso la formazione di un terzo polo favorito da una possibile convergenza di Azione, più Europa ed altre sigle sotto la soglia dello sbarramento per l’attribuzione di quozienti di accesso in Parlamento.
Come una sorta di alleanza di necessità, al di là di incompatibilità personali e/o politiche. Si ha la sensazione che si stia lavorando negli anfratti di una crisi di sistema sull’assemblaggio di sigle i cui i risultati stimati dall’aritmetica del tavolino non sempre corrispondono a quelli che escono dalle urne, di solito dimezzati, e non rendono soluzioni di governabilità sintonizzate su percorsi, frequenze e speranze di avvenire.
Ne danno testimonianza le cronache della legislatura in corso di scadenza nella prossima primavera, nata da un risultato elettorale, per dimensioni ed onda d’urto conferite a M5S e Lega, imprevisto da parte di un ceto politico, insediato nei gangli istituzionali, insipiente nella lettura dei fermenti del Paese reale. Così, essa si è sviluppata lungo una stagione di trasformismi parlamentari, senza precedenti nella storia repubblicana, e si avvia alla conclusione con il record di tre capi di Governo non eletti, designati senza il conforto del consenso elettorale.
L’arrivo a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte, per caso, e di Mario Draghi, per necessità, al di là dei loro meriti e capacità di governare le emergenze connesse all’epidemia da Covid-19, non è un modello replicabile negli spazi e nei tempi di una democrazia rappresentativa.
A meno che non si voglia sospendere e commissariare la volontà popolare a discapito della sovranità della politica ed a vantaggio di una élite di potere vocata, con o senza consenso elettorale, a gestire il boccino dell’agenda dei Palazzi di governo. Se nelle due ultime legislature, 17.a e 18.a, su sei Governi solo due sono stati guidati da parlamentari non si può nascondere un deficit di rappresentatività e/o autorevolezza della politica.
Tutti legittimi sul piano della forma costituzionale, ma nella sostanza sono rivelatori del collasso di un sistema non più rattoppabile con alchimie di brand o leader del momento che hanno dato origine ai cosiddetti populismi o allontanato percentuali crescenti di cittadini dalla partecipazione al voto.
Si tratta di fenomeni che non cascano dal cielo; rispecchiamo dinamiche culturali, disagi e malumori, bisogni sociali che hanno diritti di cittadinanza politica sia nell’interpretazione dei progressisti che dei conservatori. Far funzionare le istituzioni di democrazia rappresentativa è una questione morale che non vuole essere una parola altisonante ma la precondizione per riscattare la dignità e la sovranità della politica dall’oligarchia di altri poteri.
Con la fine della legislatura si chiude il ciclo dell’antipolitica (non solo come come anti casta ma anche come esaltazione del trasformismo) e si apre la conta di nuove maschere e volti che intendono proporsi alla valutazione degli elettori.
Si spera che i volti prevalgano sulle maschere.