POTPOURRI Riflessioni sparse da Coppi e Bartali a “Il seme della violenza”
MICHAEL GOOLAERTS era un bel ragazzone belga alto 1,86, pesava 80 kili, aveva solo 24 anni, ed aveva il sogno della bicicletta, alla quale si era dedicato anima e corpo ottenendo anche dei successi che lo avevano proiettato nel mondo del ciclismo agonistico, tant’è che stava partecipando alla Parigi-Roubaix nel corso della quale, ad un certo punto si è accasciato sulla bici privo di sensi, colpito da un arresto cardio-circolatorio, e nonostante i soccorsi ricevuti, è deceduto l’8 aprile scorso.
L’immagine del ciclista disteso a terra accanto alla sua amata bicicletta mentre lui, con le braccia aperte, sul ciglio della strada, volge il viso al cielo, ha fatto il giro del mondo anche perché nessuno degli altri ciclisti che partecipavano alla gara, si è fermato per vedere cosa gli fosse capitato; anzi tutti hanno tirato dritto, prima perché, forse non avevano compreso la gravità della situazione, e anche perché l’adrenalina che produce l’organismo durante uno sforzo, probabilmente funziona anche da inibitore della umana pietà: mi piace crederlo per dare un senso di umanità ad una tale tragedia, mi piace illudermi che gli altri non si erano accorti o non avevano capito ciò che stava succedendo, illudermi che, se lo avessero capito, certamente si sarebbero fermati almeno per rendere l’ultimo omaggio a un compagno che stava volando al cielo.
Se così non fosse anche il nobile, piuttosto povero e negletto sport del ciclismo avrebbe perso le caratteristiche umane che hanno visto, in passato, grandi campioni, che per una vita si sono sfidati sulle strade italiane ed europee, ma che non hanno mai perso quel senso di umanità che li induceva ad aiutarsi anche durante le tappe, documentate da celebri foto come, ad esempio, quella di Fausto Coppi che passa la sua borraccia di acqua a Gino Bartali, che era rimasto senza, durante il Tour del 4 luglio 1952, nella tappa tra Losanna e Alpe d’Huez sulla salita del passo del Gabilier; fra l’altro non si è mai capito se non fosse stato il contrario, e i due protagonisti non hanno mai voluto chiarire l’episodio, che comunque ha reso celebre i due grandi ciclisti, oltre al fotografo che ebbe la prontezza di scattare la foto, il pure celebre Carlo Martini (pure se qualche maligno sostiene che la scena venne ripetuta il giorno dopo proprio per immortalare l’avvenimento).
GUERRA IN CLASSE: può essere il titolo di quello che sta accadendo, da qualche anno, negli istituti scolastici di tutta l’Italia, per i numerosissimi ed intollerabili episodi di violenza da parte di studenti ma ancora di più da parte dei loro familiari, nei confronti di docenti, sempre più in prima linea, colpevoli, per i loro aggressori, di essere prevenuti, o eccessivamente severi, oppure non imparziali nei confronti dei loro pargoli; e invece di recarsi tranquilli dai prof. per chiedere cosa sia accaduto, e magari avviare un confronto sereno per risolvere eventuali problemi, a beneficio proprio degli studenti, non trovano di meglio che presentarsi “armati di sacro furore” da scaricare sugli allibiti docenti senza se e senza ma.
Fenomeno che negli ultimi tempi si va estendendo in quanto, oramai certi di essere dalla parte delle vittime, pure gli studenti ci mettono la loro e si danno da fare, com’è è recentemente accaduto nell’Istituto tecnico commerciale “Francesco Carrara” di Lucca, dove sei teppistelli, per tre dei quali è stata già deliberata la bocciatura, mentre per gli altri tre sono state comminate “pene severe (?”), hanno aggredito in malo modo il loro insegnante di Italiano.
Mi auguro che anche la Magistratura faccia rapidamente e bene il suo corso, giacché il fenomeno comincia ad essere veramente preoccupante e, francamente, nauseante.
Ma senza tralasciare nessuna censura per i protagonisti di tali violenze, non posso non ricordareche in altri paesi, quale, ad esempio, gli Stati Uniti, tale fenomeno si era verificato già negli anni ’50, ed è stato addirittura stigmatizzato in una filmografia che è rimasta negli annali.
Ricordo, infatti, uno di quelli che maggiormente all’epoca mi colpì, che aveva protagonista il celebre attore statunitense, Gleen Ford, interprete di tantissimi grandi film diretti da celeberrimi registi, di ogni genere, dai western ai film bellici ed a quelli epici.
Ma forse non tutti ricordano un film che all’epoca, mi impressionò non poco, vale a dire “Il seme della violenza” (il titolo originale “Blackboard Jungle” rende meglio il concetto) del 1955 del regista statunitense Richard Brooks, tratto dall’omonomo romanzo di Evan Hunter: film che consiglio di vedere.
E’ la storia di un insegnante di inglese alle prese con una scolaresca che non ha nessuna voglia di apprendere, composta da molti teppisti che creano all’insegnante una serie di problemi che vanno dalla derisione alla violenza fisica e sfociano in tentativi di diffamazione per avere il professore difeso una insegnante presa di mira e vittima di un tentativo di violenza sessuale da parte di un suo allievo.
A distanza di oltre un cinquantennio sembra che ora anche il nostro paese stia vivendo una analoga emergenza, alla quale molti tentano di dare spiegazioni psicologiche, sociologiche, vedendone le radici nella situazione di incertezza e di precarietà che attraversa il nostro paese, vittima di quella mancanza di valori che, oltre alla società, gli stessi genitori trasmettono ai figli.
Ma indipendentemente dalle cause di fondo che alimentano questo fenomeno, v’è un dato di fatto che non ci deve sfuggire: la violenza, comunque e dovunque espressa, va al momento repressa, in attesa che leggi più serie diano una sterzata verso una normalità che tutti auspichiamo, la quale comunque richiede tempi lunghi e compromessi politici che non sempre aiutano; frattanto i docenti, per poter svolgere il loro non semplice ruolo debbono essere e sentirsi tutelati, cosa che oggi, al di là di sterili e controproducenti proclami, non avviene anche per la giovane età dei teppistelli.