Le fake news e le sventatezze di Pinocchio
Le chiamano fake news; sono le cosiddette bufale in uso nel linguaggio giornalistico di casa nostra. Si tratta di notizie, verosimili ai fatti raccontati, date o in maniera superficiale o con l’intento di orientare nella opinione pubblica il senso della loro divulgazione.
Si riscontrano prevalentemente nelle narrazioni politiche o per fare gossip e delegittimare la credibilità altrui o per dare sfogo ai cultori delle dietrologie compulsati da ideologie complottistiche. In entrambi i casi si tratta di bugie, intere o a metà, che vivono fino a quando i loro autori non raggiungono lo scopo o non vengono smascherati.
Anche nella semantica anglofila non cambia il loro genere mendace, ma muta il senso filosofico del relativo disvelamento. Argomentato dai suoi cultori con la teoria della cosiddetta “post verità” viene dato come un nuovo modo di approcciare alle categorie del pensiero politico. Per la comprensione dei fatti della vita quotidiana, è preferibile la metafora letteraria del naso di Pinocchio, che si allunga o si accorcia a seconda della portata della bugia. Perché, il “fantoccio di legno” di Collodi, come lo definisce Benedetto Croce in “La Letteratura della nuova Italia”, si addice “alla favola della vita umana, del bene e del male, degli errori e dei ravvedimenti”. E vale pure nell’era dell’informazione globale anche quando la tecnologia che la supporta, quella digitale, delega ad algoritmi le scelte che interferiscono con le sfere decisionali dell’uomo.
Sul punto si gioca non tanto l’attitudine o meglio la lealtà degli operatori dei media e degli attori della politica ad autocorreggersi quanto la loro capacità di governare i flussi informativi provenienti da un insieme indefinito di piattaforme sia riconoscibili che pirata.
L’avvento di Internet ha aperto porte e finestre a tutta l’umanità, in entrata ed in uscita, come fonte e come utente di informazioni che alimentano la discussione pubblica, prima riservata ad élite di iniziati e sapienti. Come dire che prima nei media affluivano notizie buone o cattive di origine controllata o bufale d’autore, mentre oggi arrivano da una pluralità di canali alternativi ai circuiti istituzionali.
Il che vuol dire che c’è una opinione pubblica diversamente informata, più libera e più esposta ai falsi profeti. Perciò, non meravigliano, sul piano politico, i movimenti di opinione anticonformisti, classificati populistici, che hanno dato luogo a risultati imprevisti, come Brexit e Donald Trump, e nel contempo si comprende la teoria delle “post verità”, messa in cantiere, come una sorta di autodifesa, da parte delle élite smentite dalla realtà dei fatti.
Fanno, viceversa, meraviglia le testate giornalistiche, che le assecondano privilegiando la caccia alle fake news, come se i rischi per la convivenza democratica fossero le “bufale”, che al pari delle bugie hanno le gambe corte, piuttosto che le affabulazioni del pensiero unico pietrificato nel tempio del politicamente corretto. Resta l’interrogativo se resistere ai suoi maestri o condividere le sventatezze di Pinocchio.