Si fa un gran parlare, da qualche anno a questa parte, del tema mainstream di “fuga dei cervelli”. Tanto se ne parla da esser diventata una moda che come tutte le tendenze a volte sfiorisce e a volte ricompare.
Il tema anzi il copione, quasi sempre, è lo stesso: siamo un Paese, Italia mia, che non offre opportunità quindi tanto vale uscire, andare fuori e cercare l’oro (ammesso che esista) altrove. Ma ci vuole abbastanza poco per capire che andando a scavare siamo anche un Grande Paese che trionfa in un grande sport, unico e irripetibile: quello dell’autogol. Siamo, credo, i più bravi al Mondo a tirarci la palla in rete da soli a portiere battuto (o forse a volte il portiere si distrae proprio apposta). La fuga dei cervelli c’è è vero ma credo sia anche giusto citare o semplicemente raccontare la storia, semplice e concreta, di chi sceglie di restare e di costruire, tra mille peripezie, il proprio domani (e anche quello degli altri).
E quando ci troviamo di fronte a casi del genere comprendiamo, come uno schiaffone a quattro reti secco secco, che è necessario raccontare una storia differente dalla fuga dei cervelli. Voglio dire, ad esempio, che cervelli che corrono, a volte, non lo fanno semplicemente perché scappano. Lo fanno anche perché concretamente vogliono andare veloce e lontano. Anche se ciò significa, per qualche periodo, battere piste fuori dai confini nazionali. Ciò che dico è abbastanza semplice: raccontiamo, quando il contenuto profuma di concreto e di valore, una storia differente senza lasciarci, sedurre (è difficile lo so) dai luoghi comuni.
Di storia ne voglio, qui e ora, raccontare una, tra le infinite che incontriamo ogni giorno: Teresa Mezza, una ragazza campana, anzi sannita, giovane medico e ricercatrice per la cura del Diabete, vincitrice a settembre, seconda italiana di sempre, del prestigioso premio internazionale “Rising Star” della European Association for the Study of the Diabetes, riconoscimento che viene assegnato annualmente ai più promettenti giovani ricercatori europei sulla cura e diagnosi del diabete.
La storia è molto semplice, è quella di ognuno di noi che parte dalla propria terra, nel caso di Teresa, Melizzano – vicino Benevento – si sposta per studio nella grande città, Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Medicina e Chirurgia. Dopo la laurea grazie alla passione per la ricerca, con una borsa di studio ha l’opportunità di svolgere un periodo di studio e ricerca all’estero: presso la prestigiosa Harvard Medical School. Qui ha l’occasione di confrontarsi con i più rinomati esperti mondiali sul diabete ma si rende conto di una cosa abbastanza basilare: “nonostante le opportunità, le strutture, i mezzi, che per diversi motivi in Italia scarseggiano, per fare ricerca, noi italiani, messi a confronto con ricercatori provenienti da altri paesi, grazie a un’innata creatività siamo capaci sempre di fare la differenza, di vedere le cose in modo differente, di formulare ipotesi, a volte poco battute, con cui approntare soluzioni efficaci e innovative”. Basta questo per capire quanto è importante sforzarsi di raccontare una storia differente.
Dopo Harvard, Teresa rientra in Italia e inizia l’attività di clinica e ricerca che la vede impegnata ancora oggi al Policlinico Gemelli, nel “Team Diabete”, guidato dal Prof. Andrea Giaccari e composto da altri giovani medici ricercatori. Grazie alla sua attività di ricerca, nel settembre 2017 Teresa viene insignita con il premio “Rising Star” della EASD. Il premio, nello specifico, riconosce il valore e l’innovatività di una ricerca sulla “plasticità” (finora sapevamo che plastica è il materiale di cui sono fatti bicchieri posate e accendini..) delle cellule del pancreas, cioè, in parole povere, alla base della ricerca c’è la teoria secondo cui l’organismo umano, o meglio alcuni, hanno indoor, una capacità particolare di generare e produrre nuovi elementi (ovvero più insulina) con cui contrastare l’insorgere e lo sviluppo del Diabete. Una sorta di autocura insomma. E ovviamente si tratta di un importante filone di ricerca a livello mondiale per la Cura del Diabete anche se, dice Teresa, “al momento siamo in una fase del tutto embrionale dello studio quindi è molto prematuro prevedere, come auspichiamo, uno sviluppo a breve di strategie farmacologiche con cui rafforzare in tutti gli organismi questi meccanismi di difesa”.
Ma non si tratta qui di medici scienziati che danzano in laboratorio appriesso a teorie di “ma nove per nove farà 81?”. Si tratta di cervelli che corrono – non fuggono (almeno per ora) – e che si alimentano delle esperienze, di vita, vissute ogni giorno a contatto con i pazienti, o meglio, con le storie di vita, emozioni, di cui questi, uno dopo l’altro, si fanno portatori.
Voglio solo dire, con queste righe, che a volte basta veramente poco per raccontare una storia differente. E’ sufficiente osservare le cose in maniera leggermente diversa: come opportunità piuttosto che, daje famose male, come disastro immane.
Significa, semplice semplice, concentrarsi sulla voce di chi, nel piccolo quotidiano realizza il quotidiano e, perché no, pure un pezzettino di futuro di tutti quanti.