scritto da Nino Maiorino - 18 Dicembre 2023 07:04

Brutto Natale per il Cardinale Becciu

È stato condannato dal Tribunale del Vaticano a 5 anni e sei mesi di carcere

Certamente non sarà un bel Natale 2023 per il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, al quale il Tribunale penale della città del Vaticano ha inflitto una pesante condanna: cinque anni e mezzo di carcere e il risarcimento di euro 8.mila al Vaticano per i danni patiti a seguito della vendita del palazzo di via Sloan Avenue a Londra,

Sembra che tra le mura Leonine sia la prima condanna, certamente non lieve, che colpisce un alto prelato, segno evidente che l’operazione di pulizia che Papa Francesco ha intrapreso va avanti, nonostante gli ostacoli che vengono posti proprio dagli stessi per contrastare il fervore di questo Pontefice che ha portato una ventata di rinnovamento e pulizia.

Riportiamo dalla stampa nazionale la storia del Cardinale Becciu e dei precedenti dai quali è scaturita la doppia condanna.

La sentenza del Tribunale è stata emessa al termine del processo, che ha coinvolto 10 imputati, che riguarda lo scandalo di Sloane Avenue, a Londra, e dei fondi della Santa Sede, male impiegati.

Il Procuratore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, aveva chiesto 7 anni e 3 mesi di reclusione per il cardinale Becciu, un’ammenda di 8.mila euro e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; la carcerazione è stata ridotta a 5 anni e 6 mesi dal Tribunale.

La decisione è stata resa pubblica sabato pomeriggio 16 dicembre dal presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, alla lettura della sentenza.

È la prima volta che un cardinale viene condannato all’interno del Vaticano; è da precisare che questo Tribunale non è canonico, ma “civile”, anche se di natura penale.

Il difensore di Becciu proporrà appello.

Il procedimento è iniziato da due anni e mezzo, è durato 29 mesi, e si è protratto per 85 udienze, e alla fine, oltre a Becciu, sono stati condannati gli altri 9 coimputati:

 

  • Sanzioni pecuniarie per René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente ex presidente e direttore dell’Aif, pari a 1.750 euro di multa.
  • A Enrico Crasso, ex consulente finanziario della Segreteria di Stato, il Tribunale ha comminato una condanna di 7 anni di reclusione e 10 mila euro di multa, interdizione dai pubblici uffici.
  • Per il finanziere Raffaele Mincione 5 anni e 6 mesi, più 8mila euro, interdizione dai pubblici uffici.
  • Per l’ex dipendente dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, 7 anni di reclusione e 10 mila euro di multa, interdizione dai pubblici uffici.
  • Per l’avvocato Nicola Squillace, con le attenuanti, un anno e 10 mesi di reclusione, pena sospesa per cinque anni.
  • Per il broker Gianluigi Torzi 6 anni e 6.mila euro, interdizione, e la sottoposizione ai sensi dell’articolo 412 del Codice penale a vigilanza speciale per un anno.
  • Tre anni e 9 mesi per la manager Cecilia Marogna, e interdizione temporanea per uguale periodo.
  • Una sanzione di 40 mila euro per la sua società Logsic Humanitarne Dejavnosti, con sede in Slovenia.

 

L’approfondimento fatto su tutti i soggetti coinvolti fa emergere cose incredibili, specialmente se si considera che questi personaggi erano inseriti in un contenitore protettivo qual è la Città del Vaticano.

Quattordici gli imputati per 49 capi d’accusa: quattro società e dieci persone fisiche.

Le società sono la Logsic Humitarne Dejavnosti con sede in Slovenia; la Prestige Family Office Sa; la Sogenel Capital Investment e la HP Finance LLC.

Queste ultime tre sono riferibili ad Enrico Crasso, che per una ventina d’anni è stato consulente finanziario della Segreteria di Stato vaticana; la prima intestata invece a Cecilia Marogna, la manager sarda accusata di aver percepito fondi dalla Santa Sede per la liberazione di ostaggi cattolici in mano a terroristi islamici per poi spenderli in viaggi e prodotti di lusso; per questo era alla sbarra con l’accusa di peculato.

A Crasso vengono contestati i reati di peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico e falso in scrittura privata.

Insieme a loro, figurano tra gli imputati René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente ex presidente ed ex direttore dell’AIF (l’Autorità di Informazione finanziaria, ora ASIF) accusati di abuso d’ufficio, il primo, e peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio, il secondo.

Poi monsignor Mauro Carlino, segretario personale di due sostituti, (estorsione e abuso di ufficio); il finanziere Raffaele Mincione (peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio); l’avvocato Nicola Squillace, (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio); Fabrizio Tirabassi, ex dipendente della Segreteria di Stato, (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio); il broker Gianluigi Torzi, (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio).

Molti di questi reati sarebbero stati commessi in concorso.

Nella lista degli imputati, infine, anche il cardinale Giovanni Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato, nei cui confronti si è proceduto, come normativamente previsto, per i reati di peculato, abuso d’ufficio, subornazione.

La dettagliata descrizione dei soggetti e delle società coinvolte si è resa necessaria per far comprendere ai lettori con chi si avesse a che fare all’interno del Vaticano; le consorterie criminali capitoline, avevano emuli anche nel Vaticano.

Ma da cosa è sorto questo processo?

Andiamo all’origine di questa storiaccia, vale a dire partendo dalla compravendita del Palazzo di Londra.

La maggior parte dei crimini in questione – rileva Vatican News in una ricostruzione – si sarebbero consumatinel corso di una compravendita da parte della Segreteria di Stato di quel fabbricato di lusso a Sloane Avenue, nel cuore di Londra.

Un’operazione che si è dimostrata altamente speculativa e che avrebbe fatto perdere alle casse vaticane almeno 139 milioni di euro, dopo un acquisto pari a 350 milioni di sterline e una rivendita a meno di 186 milioni.

La Segreteria di Stato, infatti, si è costituita come parte civile e ha chiesto 117.818 milioni di risarcimento.

A questa si sono accompagnate le richieste risarcitorie delle 4 altre quattro parti civili costituitesi nel processo: lo IOR che ha chiesto 207.987.milioni di euro; l’APSA, 270.777. dimilioni euro; l’ASIF e monsignor Alberto Perlasca, ex responsabile dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, per la quantificazione del danno si sono rimessi alla valutazione equitativa del collegio giudicante.

L’affare sarebbe partito da un investimento petrolifero in Angola, mai realizzato.

L’investimento immobiliare, stando alla ricostruzione dell’accusa, sarebbe stato avviato dopo il fallimento di questa operazione.

Da lì il passaggio al palazzo di Sloane Avenue in una girandola di fondi, transazioni, compensi, commissioni, accordi stipulati sembra senza l’autorizzazione dei superiori, coinvolgimento di banche straniere e utilizzo di strumenti finanziari a rischio.

L’investimento, secondo i pubblici ministeri, ha aperto le porte ai “mercanti del tempio”, anche se per le difese non è emerso alcun rilievo penale ma solo “normali” operazioni per chi è pratico del mondo della finanza.

Alla vicenda Londra, che il sostituto Edgar Peña Parra ha definito una “via crucis”, si aggancia anche la presunta estorsione con la richiesta da parte del broker Torzi alla Segreteria di Stato di 15 milioni di euro per cedere le mille azioni di voto con cui manteneva l’effettivo controllo del Palazzo.

Alla stessa vicenda, si affiancano poi la “vicenda Sardegna” e la “vicenda Marogna”, entrambe riguardanti il cardinale Becciu.

La prima riguarda il versamento di 125 mila euro dei fondi della Segreteria di Stato su un conto associato alla Caritas di Ozieri e alla Spes, coop guidata da uno dei fratelli del cardinale, per acquisto e restauro di un panificio volto a dare lavoro a giovani emarginati. I soldi sarebbero ancora nelle casse della Diocesi.

La “vicenda Marogna” si riferisce invece al già citato pagamento di 575 mila euro alla manager, introdotta dai servizi segreti italiani e assoldata in quanto esperta in questioni diplomatiche per aiutare, tramite una società di intelligence britannica, la Santa Sede a liberare la suora colombiana Gloria Cecilia Narváez, rapita da jihadisti in Mali.

Marogna ha poi speso questo denaro per l’acquisto di mobilio, borse, scarpe, soggiorni in hotel di lusso, ma ha rifiutato ogni addebito.

Da parte sua, il cardinale ha sempre affermato di essere stato “ingannato” per primo dalla donna, e che tutta l’operazione diplomatica era autorizzata e approvata dal Papa, inizialmente coperta da segreto pontificio.

ll promotore Diddi e le parti civili hanno rilevato che Marogna avrebbe però continuato a frequentare il porporato e la sua famiglia anche dopo lo scoppio dello scandalo.

La conclusione è che quella terra di mezzo, che nella città di Roma qualche anno fa coinvolse il boss Carmine Carminati, politici, e imprenditori, tutti consociati per spillare milioni di euro allo stato,

sembra esserci stata pure all’interno dello Stato Vaticano, con il coinvolgimento di alti Prelati e affaristi per sottrarre milioni di euro dalle casse dello stesso.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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